Conte, elezioni più vicine: governo a rischio con il voto del 27 su Bonafede

Venerdì 22 Gennaio 2021 di Alberto Gentili
Conte, elezioni più vicine: governo a rischio con il voto del 27 su Bonafede
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ROMA Cinque giorni per arruolare almeno cinque senatori e arrivare alla maggioranza assoluta di 161 voti in Senato. E' questa la mission (quasi) impossible di Giuseppe Conte che ieri notte, per lanciare un ulteriore segnale ai potenziali «volenterosi» e placare il Pd, ha ceduto la delega ai Servizi segreti al suo consigliere diplomatico Pietro Benassi.

Mercoledì prossimo, se il governo non riuscirà a ottenere un rinvio, a palazzo Madama è infatti in programma una nuova resa dei conti sulla relazione sulla giustizia del Guardasigilli Alfonso Bonafede.

Il rischio elezioni

In questa seconda e decisiva conta, i 140 voti del centrodestra (che è salito al Quirinale per chiedere elezioni e soltanto elezioni) si sommeranno con ogni probabilità ai 16 di Italia Viva. A meno che, cosa per ora improbabile, non venga accolto il nuovo appello di Matteo Renzi a riaprire il confronto: «Noi ci siamo, fermate il compro-baratto-vendo di singoli senatori». E 140 più 16 (prima i renziani erano 18, ma hanno perso per strada Riccardo Nencini ed Eugenio Comincini) fa 156: i voti presi da Conte all'ultima fiducia. «Perciò se non riusciamo a rastrellare un manipolo di volenterosi», dice un ministro dem, «il governo verrà battuto in Senato sulla giustizia e si precipiterà verso le elezioni...».


Tra i rosso-gialli l'allarme è alto. Nonostante il lavorio incessante e sotterraneo del premier, del pontiere dem Goffredo Bettini e del centrista Bruno Tabacci, le adesioni tardano ad arrivare. Così Bettini avverte: «Senza l'auspicato rafforzamento della maggioranza con un'area liberale, moderata e di centro, si andrà a votare tra maggio e giugno una volta varato il Recovery Plan e contenuta l'epidemia. Dunque chi vuole sostenere il governo deve farsi avanti adesso, non può continuare a restare nascosto. Per noi del Pd, che non faremo mai un governo istituzionale con una destra amica di Orban, andare a elezioni non è un problema. Mi chiedo se vale lo stesso per Forza Italia e per Italia Viva...». Le due forze politiche che rischiano di uscire ridimensionate, se non addirittura di scomparire, dopo il passaggio elettorale.


Non è un caso che Bettini faccia il nome del partito di Silvio Berlusconi e di Renzi. E da questi due serbatoi che Conte spera nei prossimi giorni di pescare la «squadra di volenterosi» con cui creare un nuovo gruppo parlamentare. L'ormai famosa (e per ora ipotetica) quarta gamba della coalizione rosso-gialla.

Tra i renziani i possibili «volenterosi» potrebbero essere Leonardo Grimani, Annamaria Parente, Nadia Ginetti, Mauro Marino. Tra i forzisti, dopo gli addii di Andrea Causin e di Maria Rosaria Rossi (che però è in predicato di rientrare), si fanno i nomi di Sandro Biasotti, Barbara Masini, Maria Tiraboschi, Luigi Vitali e Maria Carmela Minuto. Ma quest'ultima si chiama fuori: «Ho votato contro Conte e continuerò a farlo». E Vitali mette a verbale: «Per la mia storia non posso certo sostenere un governo dove Guardasigilli è Bonafede».


Già, la giustizia. Ieri mattina, durante un vertice d'emergenza in vista del voto di mercoledì, i capigruppo rosso-gialli del Senato hanno certificato che «è il tema più divisivo». E che, soprattutto, «su questo terreno è molto difficile riuscire ad agganciare i transfughi di Forza Italia e di Italia Viva». Per questa ragione a palazzo Chigi e tra i leader della maggioranza si sta ragionando su un rinvio della votazione da dentro o fuori. Il momento della verità sarà martedì, quando si riunirà la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. Sarà quella la sede in cui il governo chiederà lo slittamento se nel frattempo non si sarà rafforzato. «Però, in ogni caso, sarà poi l'Aula a decidere...».


E qui, come si sa, sono dolori. «Anche perché», dice un presidente di gruppo, «se siamo arrivati mercoledì scorso a 156 voti è solo grazie ai senatori a vita ed è difficile immaginare che Liliana Segre a novant'anni venga anche la prossima settimana a votare...». Insomma, sulla giustizia «è molto probabile finire battuti. E ciò che accade nell'Udc non aiuta...».

Il caso Cesa

I centristi, appunto. Dovevano arrivare dall'Udc tre voti, quelli di Paola Binetti, Antonio Saccone e Antonio De Poli. Ma il segretario Lorenzo Cesa è finito indagato proprio ieri per associazione a delinquere in un'inchiesta sull'ndrangheta. Così, di riflesso, i 5Stelle hanno alzato il disco rosso. «Lavoriamo per consolidare il governo, ma questo non può avvenire a scapito della questione morale», tuona Luigi Di Maio che prova a sedare la rivolta dei parlamentari grillini, allarmati per l'«abbraccio mortale» con l'Udc e in una riunione ristretta avrebbe discusso dei preparativi per eventuali elezioni. Un'alzata di scudi che spinge De Poli ad annunciare: «Restiamo tutti nel centrodestra». Si vedrà: la cattolica Binetti è molto attratta dal ministero della Famiglia che Conte è pronto a offrirle. E molti scommettono che l'implosione dell'Udc possa spingere anche Saccone a entrare in maggioranza.


Conte ter o rimpastone?


Se a Conte riuscirà l'operazione «rafforzamento» si aprirà poi un'altra partita. Il Pd continua a chiedere le dimissioni del premier, una nuova squadra di governo e il Conte-ter. Il capo dell'esecutivo, invece, teme il «salto nel buio» e non intende essere ridimensionato oltremisura. Perciò vorrebbe limitarsi a un rimpastone. Ai dem, come dimostrano le parole della vicepresidente Debora Serracchiani, questo però non basterà: «Serve più condivisione, una maggiore capacità di prendere le decisioni per tempo: Conte ha la tendenza ad accentrare troppo nelle proprie mani i dossier». Proprio ieri notte il premier ha però dato il primo segnale di disponibilità alle richieste del Pd: ha convocato, a sorpresa, alle dieci di sera un Consiglio dei ministri. E ha passato la delega ai Servizi all'ambasciatore Benassi, nominato sottosegretario alla Presidenza.

Ultimo aggiornamento: 12:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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