Governo, Conte non ha i voti: le carte Fico o Franceschini

Martedì 26 Gennaio 2021 di Marco Conti
Governo, Conte non ha i voti: le carte Fico o Franceschini

L’unica maggioranza che è riuscito per ora a mettere insieme Giuseppe Conte è quella di coloro che andranno al Quirinale, tra domani e dopo, e non lo indicheranno per il reincarico (Iv, FI, Lega e FdI).

Se a ciò si unisce il restante arco parlamentare che - magari al secondo giro di consultazioni - non faranno un nome secco (Pd, M5S e Leu) si capisce come la strada di Conte per il “ter” sia tutt’altro che in discesa. 

Crisi di governo, Boschi: «Nessun veto sui nomi ma svolta sui contenuti»

L’avvocato ne è consapevole e continua ad andare a caccia di “responsabili” con sempre maggiore passione nel tentativo di poter far salire venerdì al Quirinale un gruppo di senatori che, dicendo “o Conte o voto”, renda impossibile comporre altra maggioranza se non con lo stesso Conte e magari senza Matteo Renzi. La contrapposizione con il leader di Italia Viva continua e rappresenta una montagna insormontabile se non riesce a mettere insieme numeri alternativi a quelli dell’ex premier, ma rappresenta una difficoltà anche per ricostruire, come chiede il Pd, una maggioranza allargata ai “responsabili” ma anche ai renziani. Nel post serale Conte fa una sorta di appello che non esclude Italia Viva, ma la caccia alla costruzione di gruppi su misura innervosisce il Pd e il M5S. 

Crisi di governo: Maie, nasce gruppo responsabili ma numeri fermi a 157

Soprattutto radicalizza la posizione di Italia Viva che ha già fatto sapere che domani al Capo dello Stato non farà nomi ma si concentrerà sul programma. Renzi per ora non scopre le carte e non fa altri nomi, ma le parole pesanti pronunciate nei confronti di Conte il giorno delle dimissioni delle ministre e al momento del dibattito a Palazzo Madama, restano. Come restano quelle dello stesso Conte che, a differenza del Pd, non ha mai ritrattato quel “mai più con Renzi” pronunciato nella replica al Senato.

IL GIRO
La convivenza tra i duellanti sembra ancor impossibile, la frattura non si ricompone e qualora la scelta del Quirinale dovesse avvenire sui numeri, al momento Conte sembra svantaggiato rispetto a Renzi, a meno che il premier uscente non riesca a portarsi dietro un consistente numero di parlamentari grillini pronti ad immolarsi nel tentativo di spingere per le elezioni anticipate. Il sentimento nei gruppi grillini è però opposto e cresce l’insofferenza per come la pattuglia governativa, in testa Crimi e Bonafede, hanno gestito la fase finale del Conte2 e contestano quell’appiattirsi del Movimento sull’avvocato anche a costo di veder nascere gruppi e un partito concorrente. Ciò che pesa nel M5S è quella incapacità di Conte di allargare, come promesse tante volte, la maggioranza che al Senato resta inchiodata a 156-157. Senza contare che ai parlamentari grillini è stato spiegato nei giorni scorsi che la costruzione dei gruppi “per Conte” serviva per allargare la maggioranza e non per dare al presidente del Consiglio uscente un suo potere nella maggioranza che ora rischia di trasformarlo in un nuovo-Renzi. Nei ragionamenti che correvano ieri a palazzo Madama tra i senatori grillini c’era chi faceva notare che anche il leader di Iv un anno e mezzo fa si è costruito i gruppi in Parlamento, stavolta a danno del Pd. E se i segretari o i leader di partito, come Renzi e Zingaretti, non entreranno nel nuovo governo, «non si comprende perché debba esserci Conte a Palazzo Chigi». 

Nel Pd l’umore non è del tutto diverso da quello che si coglie tra i parlamentari 5S. I ministri, da Franceschini a Boccia sino a Guerini e Delrio, fanno quadrato, ma pesa il corpaccione parlamentare che meglio di tutti lo interpreta il capogruppo dem al Senato Andrea Marcucci secondo il quale «non c’è un Conte a tutti i costi». Il “costo” è la fine della legislatura che lo stesso Conte ha nei giorni scorsi accarezzato sostenuto da una parte dei dem, sino a quando «il governo europeista» non ha dovuto fare i conti con quel più che scontato richiamo arrivato da Bruxelles che perfidamente intrecciava la sostenibilità del nostro debito pubblico con i rischi che l’Italia correrebbe in caso di elezioni anticipate sul Recovery Plan. Al commissario Ue Paolo Gentiloni, e poi al ministro delle politiche comunitarie Enzo Amendola, non sono servite molte parole per richiamare il Nazareno alla realtà.

E’ per questo che il primo giro di consultazioni del Quirinale sembra avere soprattutto lo scopo per convincere il diretto interessato, i pochi o tanti “responsabili” che lo sostengono, e forse anche quel 40% di opinione pubblica che mostra di gradire Conte, che il “ter” è molto complicato e a rischio di cadere di nuovo tra qualche mese. Normale, quindi, che i partiti stiano già pensando a come ricomporre il quadro al secondo giro di consultazioni che con ogni probabilità inizierà la prossima settimana. I nomi alternativi per palazzo Chigi non mancano (per il Pd Franceschini e Guerini, per il M5S Fico, Di Maio e Patuanelli), ma tutto dipende dal perimetro che avrà la maggioranza e, a quel punto, da che cosa farà il centrodestra e, soprattutto, Forza Italia.

Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 15:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci