«Non straparlare a vanvera ed esprimersi con i fatti». La prima mossa di Giorgia Meloni nel day after è comunicativa ma non solo.
Non s’è mai visto un leader che vince le elezioni e che invece di festeggiare il giorno dopo si mette all’opera. E che, a riprova della linea poche parole e sperabilmente tanti fatti, non va in conferenza stampa a incensare la propria bravura e le grandi sorti magnifiche che aspettano il suo governo e l’Italia nel segno della destra. Macché: non c’è tempo neppure per la luna di miele con gli italiani, come è tipico del post vittoria elettorale, perché la situazione del Paese - caro bollette anzitutto: «E se l’Europa non si muove ci muoveremo noi da soli» - non è facile e occorre subito «rimboccarsi le maniche».
RELAX E RIPARTENZA
E così, mentre lei alterna i giochi con la figlia Ginevra, il relax post-voto, l’allenamento con il personal trainer Fabrizio Iacorossi, lo stesso di Totti e di Ilary, con cui posta un video su Instagram e soprattutto l’esame delle carte politiche e dei primi provvedimenti che vorrà prendere, i due capigruppo Lollobrigida e Ceriani parlano con i media, illustrano il percorso fatto da FdI fino alla vittoria e ciò, e non è poco, che resta da fare. Con particolare insistenza su un punto che a Meloni sta a cuore assai. Il presidenzialismo. Quando la prossima premier ha detto nella notte della vittoria che occorre «riavvicinare i cittadini alle istituzioni e rafforzare il rapporto tra gli italiani e lo Stato, suscitando nuova fiducia», il cui deficit è tra le ragioni dell’astensionismo, stava parlando appunto del presidenzialismo. E Lollobrigida, ieri: «La nostra Costituzione è bella, ma ha 70 anni». Ovvero, mettersi al lavoro per renderla più adeguata ai tempi, che sono quelli della disaffezione e rendere più attiva la partecipazione popolare nell’elezione diretta del Capo dello Stato agli occhi di Giorgia è la via giusta per stringere un nuovo patto di fiducia tra il cosiddetto Paese reale e il cosiddetto Paese legale. Una iniziativa, oltretutto, che potrebbe trovare l’appoggio di una parte dell’opposizione: quella modernizzante di Calenda e di Renzi.
Intanto la premier in pectore, da casa, parla un po’ con tutti. Accarezza le ferite di chi nelle liste di FdI non ce l’ha fatta, e la chiama per farsi asciugare le lacrime, e ringrazia quelli che hanno condotto una campagna elettorale vincente a nome del partito. E in tutto ciò, oltre a quella di Salvini («Non potremo che andare d’accordo, il nostro è un programma condiviso e non diamo a chi ci vuole male la soddisfazione di litigare perché non ne abbiamo motivo»), riceva la telefonata di Enrico Letta. Con il quale i rapporti personali sono più che buoni.
Lui: «Mi raccomando, fai la brava al governo». Lei: «Mi raccomando, fai il bravo all’opposizione». Un’interlocuzione ci sarebbe stata anche con Palazzo Chigi: chi esce, chi entra. Il passaggio della campanella, tra Draghi e Meloni, se non segnerà la perfetta continuità - un cambiamento è un cambiamento ed è giusto che si cambi - non assumerà minimamente sembianze gravi o segnerà un salto nel buio. «Noi semplicemente apriremo una pagina nuova», è il mood della prossima inquilina di Palazzo Chigi, se Mattarella le darà l’incarico. E ci sono le condizioni per scriverla bene.
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