Etruria, Pd nella bufera: resta l'ipotesi passo indietro

Venerdì 22 Dicembre 2017 di Alberto Gentili
Etruria, Pd nella bufera: resta l'ipotesi passo indietro
6

Ci sono giorni in cui il silenzio è più dirompente delle parole. E da giorni, nel pieno del Vietnam scatenato da Banca Etruria, non c'è ministro o esponente di peso del Pd che si sia schierato a fianco di Matteo Renzi. Tantomeno di Maria Elena Boschi. Tacciono Marco Minniti e Dario Franceschini, restano zitti Graziano Delrio e Anna Finocchiaro. Solo il premier Paolo Gentiloni, per evitare pericolosi scossoni al governo, una settimana fa ha blindato la sottosegretaria: «Ha chiarito, è giusto che si ricandidi». Da allora però sta zitto pure lui.

Anche ieri, quando Renzi ha chiarito urbi et orbi che non intende abbandonare la Boschi e vuole riportarla in Parlamento, non è scattato alcun applauso. Silenzio ancora una volta assordante. Il segno di quanto Maria Elena sia diventata «il problema» per l'intero partito. E perfino nel Giglio Magico dove, si narra, Luca Lotti ha ormai aderito alla foltissima squadra di chi suggerisce di non ricandidare la sottosegretaria. I due, del resto, non si sono mai amati.

Ebbene la novità, al di là delle dichiarazioni ufficiali dettate dalla necessità di tenere il punto nelle ore in cui la Boschi è sotto i riflettori, è che Renzi in persona ha cominciato a valutare la possibilità di suggerire a Maria Elena un passo indietro. Ma non ora: «Sarebbe come un'ammissione di colpa», dicono al Nazareno. E aggiungono: «E' presto, adesso, per qualunque decisione». Come dire: non è affatto detto che alla fine la sottosegretaria entrerà nelle liste del Pd. Anzi: «Si deciderà a gennaio, sondaggi alla mano...».

Anche perché, se Renzi dovesse resistere a oltranza, potrebbe prendere sempre più forza il fronte di chi il passo indietro lo chiede a lui. «L'unico modo per evitare la disfatta», diceva ieri mattina un alto esponente dem, «sarebbe candidare Gentiloni premier e lasciare fuori la Boschi». E Andrea Orlando, leader della minoranza, sostiene: «Va addrizzata la barra o saremo sconfitti, l'idea della commissione d'inchiesta è stata poco intelligente».

ALLARME-SOPRAVVIVENZA
In gioco, per i ribelli, c'è la sopravvivenza del partito. Il tormento dei colonnelli del Pd, i malumori crescenti sussurrati e non esternati (Orlando a parte), sono innescati dal terrore di «prendere uno schiaffo mortale alle elezioni»: «Tra la nostra gente e tra i nostri elettori», dice un alto dirigente che chiede l'anonimato, «dopo tutte quelle audizioni in Commissione che hanno raccontato della Boschi impegnata a girare l'Italia per aiutare la banca del padre, si è affermata l'idea che sul partito è calato un velo di opacità. Ed è un paradosso. Perché in questi cinque anni abbiamo governato bene, abbiamo fatto leggi e riforme importantissime, abbiamo portato il Paese fuori dalla crisi. Eppure, nell'immaginario collettivo ciò che rimane sono la Boschi e la maledettissima Banca Etruria». «Ed è inutile sperare che questa vicenda cada nel dimenticatoio», aggiunge un altro esponente dem, «ormai abbiamo armato Di Maio e Bersani, su questa roba ci faranno tutta la campagna elettorale. Maria Elena dovrebbe capirlo...».

LEADER ISOLATO
Va da sé che nessuno condivide l'ottimismo di Renzi: il segretario ha detto di essere pronto a «scommettere una bistecca alla fiorentina» sul fatto che «il Pd sarà il primo partito».

In più, per provare a sedare la ribellione dopo aver promesso nei giorni scorsi posti sicuri in lista a tutti i maggiorenti del partito, è tornato a usare il noi. Ha abbandonato di nuovo l'«io» che ha prodotto tanti disastri dal referendum dello scorso dicembre: «La squadra del Pd è la più forte in assoluto. Non il segretario, la squadra: ci sono Gentiloni, Minniti, Delrio, Franceschini, Orlando». Già. In molti tifano per il premier.

Ultimo aggiornamento: 23 Dicembre, 08:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci