Elezioni Quirinale, da Berlusconi e Conte a Salvini, Meloni e Letta: le strategie per il Colle

Fra tre settimane a Montecitorio parte la battaglia per il Colle: ecco le strategie tra candidati di bandiera e scetticismi

Lunedì 3 Gennaio 2022 di Marco Conti
Elezioni Quirinale, da Berlusconi e Conte a Salvini, Meloni e Letta: le strategie per il Colle

Ogni partito attende le mosse dell’altro per esporsi. Ma il nodo del Quirinale si intreccia inevitabilmente con quello del governo che va messo in sicurezza anche se Draghi non dovesse succedere a Mattarella.

Nella larga maggioranza i due tradizionali schieramenti cercano di mantenere un minimo di compattezza mentre nel Movimento 5S il terrore delle elezioni anticipate limita Conte che presto dovrà incontrare nuovamente i gruppi parlamentari. A tre settimane dall’inizio delle votazioni, i tatticismi prevalgono ma iniziano a perdere quota i candidati di bandiera.

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Conte: l'obiettivo grillino di evitare le elezioni

Giuseppe Conte fu il primo a fare il nome di Mario Draghi come successore di Mattarella, ma quando i gruppi parlamentari capirono che era un modo per andare al voto, ci fu la sollevazione. E’ per questo che Conte si muove ora con molta cautela e quando gli si fa il nome di Draghi si limita a sostenere che deve restare a palazzo Chigi proprio per tranquillizzare gli eletti M5S che sarebbero pronti a votare l’attuale presidente del Consiglio, ma solo con la certezza che c’è un governo pronto a concludere la legislatura.
Nel Movimento si sostiene che l’idea di una donna al Colle, anche di centrodestra, Conte l’abbia avuta da Massimo D’Alema. L’ex premier è tra i consiglieri di Conte e questo spiega, forse, l’irritazione che la sortita ha provocato al Nazareno. Si comprende quindi ancor più l’irritazione del Nazareno che ha visto traballare il patto di consultazione. Conte deve anche vedersela con Luigi Di Maio che, anche in virtù del suo ruolo da ministro degli Esteri, è convinto che senza Draghi la strada per l’Italia si fa in salita.

Salvini: per ora fedele a Berlusconi ma c'è il piano B 

Non molla il ruolo da king maker del centrodestra anche se la candidatura di Silvio Berlusconi gli ha sottratto, per ora, molte carte. Resta fedele al Cavaliere, ma non nasconde il suo scetticismo quando gli vengono mostrati i numeri che potrebbero portare l’ex premier sul Colle più alto. Matteo Salvini continua a guardarsi a destra e spera di inchiodare Giorgia Meloni qualora dovesse tramontare la candidatura del Cavaliere. «Il centrodestra sarà unito anche su un nome diverso da Berlusconi», sostiene il leader della Lega. Ma il problema di Salvini non è tanto il Quirinale, ma il governo che verrà qualora Draghi dovesse andare al Quirinale, come non esclude l’alleata Meloni. Per il leader della Lega chi vota Draghi al Quirinale deve sostenere anche il governo che verrà, ma FdI non sembra della stessa opinione e su questo tema rischia di spaccarsi il centrodestra. In questo caso l’arma di Salvini è la legge elettorale in senso proporzionale che oltretutto piace ad una cospicua fetta del Pd, al M5S e anche a FI.

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Letta: la vera scommessa è non spaccare il Pd

Enrico Letta sostiene da tempo - senza sbilanciarsi oltre - che sarebbe un errore privarsi di Draghi. Il segretario del Pd sa anche che, per lasciare il premier a Palazzo Chigi, bisognerebbe convincere Mattarella ad accettare un secondo mandato, ma sinora tutti i tentativi sono falliti. Nel Pd c’è però chi ritiene ancora possibile che ciò si realizzi, magari dopo una lunga serie di fallimentari votazioni. Tale prospettiva atterrisce però Letta che confida nei tempi brevi anche per non guastare l’immagine che l’Italia ha ora all’estero. Nel Pd in molti ritengono inevitabile votare Draghi come successore di Mattarella. Per alcuni solo a patto però che si arrivi ad un governo politico, magari guidato da un dem come Franceschini. Nel Pd convive però anche una cospicua fronda di anti-Draghi che coincide, grosso modo, con gli “orfani” del mancato Conte-ter. Il «no» a Berlusconi è netto, ma la riunione della direzione del 13 gennaio servirà a capire sino a che punto Letta intende esporsi su Draghi la cui stagione, sinora e sondaggi alla mano, ha portato voti al Pd. Perché interromperla?

 

Meloni: o Silvio o Draghi, no a un terzo nome

Mentre i suoi alleati sono al governo, Giorgia Meloni ragiona da prossimo leader del centrodestra. Tiene conto dell’alto gradimento che ha Draghi nell’elettorato di FdI spingendo con discrezione il premier verso il Quirinale. Ovviamente solo dopo aver convinto Berlusconi che è meglio evitare una “sconfitta” in Aula. In attesa di segnali diversi da Arcore, la leader di FdI resta fedele all’unità del centrodestra. Se però dovesse tramontare la candidatura di Berlusconi, è pronta a sfilarsi da qualunque intesa se non quella che potrebbe portare Draghi al Quirinale con una larga maggioranza anche se accompagnata - come è ovvio per chi è all’opposizione - da una richiesta di elezioni anticipate che la Meloni è pronta ad avanzare qualunque sia il nuovo inquilino del Quirinale. Malgrado il pressing di FI e Lega, la Meloni intende comunque restare all’opposizione anche nell’ultimo anno di legislatura confidando nel fatto che un altro premier sarà comunque meno ostico dell’attuale e elettoralmente più “redditizio”.

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Berlusconi: la conta dei numeri, poi il passo indietro

Il Cavaliere, malgrado l’età e percentuali non certo esaltanti come una volta, continua a dare le carte nel centrodestra. Tiene ferma la sua candidatura al Colle e non solo perché è il sogno che coltiva da anni ma anche perché stavolta è il centrodestra ad avere più “carte”. Solo autocandidandosi Berlusconi è riuscito a chiudere molti spazi ai due ingombranti alleati. Se alla fine facesse un passo indietro in favore di Draghi potrebbe intestarsi una quota di “riconoscenza” superiore agli alleati. Per ora prova a giocare la «partita della vita», come la chiamano i suoi, mettendo in colonna i numeri dei grandi elettori e aspettando le mosse di Pd e M5S. Nel frattempo regala quadri e tiene sotto controllo le mosse di Salvini e Meloni nella consapevolezza che sarà difficile far digerire agli alleati altri nomi oltre al suo e a quello di Draghi. Il boccino del centrodestra è nelle mani del Cavaliere, ma per non perderlo deve convincere - prima di andare alla sfida dell’Aula - Lega e FdI di avere numeri più concreti di quelli sventolati prima di Natale.

Ultimo aggiornamento: 4 Gennaio, 12:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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