Elezioni Quirinale, le strategie dei partiti: da Berlusconi a Letta, Salvini Meloni e i centristi. Numeri e "cordate"

Spesso non c'è un piano A ma ognuno ha un piano B

Sabato 4 Dicembre 2021 di Mario Ajello
Elezioni Quirinale, le strategie dei partiti: numeri e cordate. Quanti sono (e quanto contano) i centristi?

Per ora, procedono tutti in ordine sparso. Il Partito democratico non voterà Silvio Berlusconi al Quirinale, e questo è un punto fermo. Meloni e Salvini si promettono di procedere insieme nella scelta del successore di Mattarella - il quale ha detto definitivamente no ai dem che stavano lavorando per lui, ma i no in politica significano mai dire mai specie in presenza di una pandemia già rivelatasi capace di imprevedibilità - ma il nome comune non lo hanno, Pera sembra essere più di bandiera salvini sta che meloniana e se FDI in tutti i modi cerca di far capire che su Berlusconi non vuole andare invece Salvini almeno a parole assicura al Cavaliere appoggio totale

Elezioni Quirinale, le strategie dei partiti

Lo stesso che può arrivare dall’altra centrista - Cesa dell’Udc non fa che ripetere che Silvio ha chances - ma l’area centrista è tantissime cose e si compone almeno di un centinaio di presenze parlamentari e di tante combinazioni in corso sia dentro sia intorno al Palazzo dove proprio oggi è nato al teatro Brancaccio il nuovo partito di Clemente Mastella: Noi di centro.

Mentre tra Camera e Senato i 43 parlamentari renziani di Italia Viva e il gruppo di Toti, Brugnaro, Osvaldo Napoli e gli altri d Coraggio Italia stanno amalgamandosi proprio per dire la loro e incidere con un blocco da un centinaio di voti se va bene e non sono affatto pochi sulla scelta del Capo dello Stato. Il loro nome? Molto quotato Casini da quelle parti ma anche la Cartabia. È fuori da questo processo aggregativo Carlo Calenda che a sua volta però vuole agire da king maker quirinalizio e lancia un «appello ai leader della maggioranza per un incontro sull’elezione del Colle». 

Draghi non lo candida nessuno esplicitamente ma a Draghi di qua e di là (dal Pd che ha troppi candidati potenziali e nessuno vero alla Meloni che da eventuale futuro premier non si sentirebbe invisa a SuperMario con cui ha un buon rapporto) ci pensano un po’ tutti. Il ragionamento che nelle ultime ore circola sempre  di più nel Palazzo è questo: «Draghi vuole fortissimamente il Colle, nessuno dice esplicitamente che vuole mandarcelo e probabilmente ci andrà». Sarà così? Nei 5 stelle, che pure sono terrorizzati dal voto anticipato favorito nel caso il premier traslocasse sul Colle, il partito draghista come dimostrano le ultime indiscrezioni attribuite a Di Maio si rafforza. Con questa clausola: l’importante è dare seguito alla legislatura magari con Daniele Franco a Palazzo  Chigi.

Operazione non facile da realizzare, d’istituzione delicata quella di Draghi come  premier ma il punto è proprio questo: se si riesce a individuare anzitempo un possibile identikit condiviso di capi del governo continuatore dell’agenda Draghi e stabilizzatore della maggioranza che c’è, l’ex presidente Bce avrà la strada spianata per il Quirinale. Non è detto inoltre che il no alle urne subito - chieste a gran voce da FDI - non possa convenire anche ai melonisti uno dei quali - categoria big - spiega: «Cominceremmo con grande slancio da opposizione una campagna elettorale al grido: i politici preferiscono mantenere le proprie poltrone di parlamentare che fare l’interesse della patria mandando i cittadini al voto». Parole cosi fino al 2033. Retorica populista capace di fare breccia

Spesso non c’è il piano A ma ognuno ha un piano B in questo gioco quirinalizio ancora tutto da svolgersi e non ancora immaginato da messo con lucidità. In M5S viene attribuito al Pd questo disegno addirittura da piano C. Eccolo: Mattarella si è definitivamente tolto di mezzo e se la carta Draghi non mette tutti d’accordo alle prime votazioni potrebbe spuntare dal Nazareno il nome di Luciano Violante, votabile anche a destra. Oppure quello, capisce a sua volta di simpatie trasversali, e in più si tratta di una donna, di Anna Finocchiaro. Nomi entrambi non scartabili  a priori da Conte e da Di Maio. 


A proposito di piani B quello di Berlusconi è il più chiaro. Parte da un numero: 454. Sono i parlamentari adel centrodestra. E sono più di quelli del centrosinistra. Il Cavaliere con questo numero tra le mani, che puó crescere di 43 unità (se al centrodestra si aggiungono i renziano che in molte materie, vedi la legge sui lobbisti, non votano più con la sinistra), fa questo ragionamento. Se non dovesse andare lui al Colle, e ci proverà fino alla fine con tutti i mezzi compreso un video rivolto alla nazione  come nel 1994 con la discesa in campo, vuole fare il king maker di Draghi o di qualcun altro e insieme il creatore del successore di Draghi a Palazzo Chigi proprio sulla base dei numeri parlamentari che il centrodestra ha. Punta Silvio a far votare Brunetta capo del governo ? O punta sulla Casellati prima con un mandato esplorativo istituzionale e poi con un mandato vero? La carta Casellati, se vincente, farebbe di Silvio il leader che ha creato la prima  donna premier della storia italiana e del resto lui non da  oggi dice: «Il più femminista del mondo sono io». 

Ultimo aggiornamento: 5 Dicembre, 08:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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