«Vediamo». Non si sbilancia Mario Draghi.
LA PARTITA
Sarebbe però sbagliato dare per chiusa la partita. Resta infatti in piedi qualche “però” che nutre ancora le speranze di Enrico Letta e degli altri pontieri alla ricerca di una soluzione sostenibile. L’idea è che Draghi potrebbe ripensarci se tutti coloro che vogliono restare terminino ultimatum e richieste improbabili. Il riferimento - oltre che ai cinquestelle che ormai però sembrano sempre più fuori dalla partita - è soprattutto ai leghisti. Impossibile pensare di costruire un “nuovo” percorso insieme se Matteo Salvini non solo agita a ore alterne lo spauracchio del voto ma, soprattutto, avanza richieste considerate improponibili come lo scostamento di bilancio da 50 miliardi di euro. Servono insomma segnali inequivocabili e garanzie da tutti i partiti già negli interventi prima del voto alla Camera e al Senato.
D’altro canto sul tavolo c’è anche l’idea che il pressing sul premier possa riuscire qualora finisse escluso dal governo il «partito di Conte» (come in molti in Parlamento hanno iniziato a chiamare il M5S in un articolato gioco linguistico-politico). E cioè che l’ormai attesa scissione porti all’opposizione un Movimento depotenziato, con una truppa consistente disposta a rimanere (anche per disinnescare nuove polemiche sulle caselle ministeriali lasciate libere). Si tratta di scenari che, a poco più di ventiquattro ore dagli appuntamenti a palazzo Madama e Montecitorio, sono considerati ancora meno probabili rispetto alla fine dell’esecutivo e al voto entro il 2 ottobre.
In ogni caso il silenzio di Draghi alimenta speranze. La sensazione - spiegano dai vertici del governo - è che il premier attenderà l’ultimo minuto per decidere. Del resto l’incombenza del viaggio ad Algeri non è stata solo una “piacevole” pausa distensiva che gli ha consentito di provare a lasciarsi alle spalle «le cose in ordine» (ridurre la dipendenza dal gas russo e mettere in sicurezza l’inverno italiano), ma anche un attimo di tregua dal brusio dei partiti che cercano accordi, escamotage e punti in comune per trattenerlo.
Con qualche ora di distacco sulle spalle, il premier oggi tornerà a mettere a fuoco la questione, affinando il discorso che terrà prima al Senato e poi alla Camera. Un timing - il passaggio sarà prima nella meno favorevole Aula di palazzo Madama a dispetto delle richieste del Pd e di una parte del M5S - che non ha né impressionato né appassionato il premier. Al contrario invece da quanto fatto dalle manifestazioni - di piazza e di stima - che sono continuate ad arrivare ieri. Il telefono del premier infatti ha squillato senza sosta. E anche se a palazzo Chigi non confermano, tra gli interlocutori ci sarebbe stato anche Beppe Grillo. Bocche cucite però sui contenuti della conversazione.