M5S, tracollo alle Regionali: persi 8 milioni di voti in due anni, ma ora Di Maio è più forte

Martedì 22 Settembre 2020 di Francesco Malfetano
Di Maio, Spadafora, Fraccaro e Bonafede a cena a Roma in via Cavour

«Abbiamo sbagliato». «Siamo usciti massacrati». «Non c’è motivo per esultare, abbiamo perso 8 milioni di elettori in 2 anni». Nel day after del voto c’è un’aria pesante all’interno del Movimento 5 stelle. Acquisita l’incontestabile vittoria del Sì al Referendum, il cui successo è però da spartire con PD e Lega, i pentastellati si trovano ora a fare i conti con il disastro delle regionali. Conti che, pallottoliere alla mano, non tornano affatto né in termini relativi (e cioè rispetto ai singoli candidati regionali) né tantomeno in termini assoluti, ovvero come numero di elettori.

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A constatarlo per primo è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che, pur precisando di non mettere sotto accusa il segretario M5s Vito Crimi, fa ammenda sulla campagna elettorale, peraltro consapevole di come questa rilanci la sua leadership interna. «Non faccio mistero - dichiara, ricalcando a capo chino le parole usate un anno e mezzo fa per commentare le elezioni europee del 2019 - l’ho sempre detto che potevano essere organizzate diversamente e anche per il Movimento, con un’altra strategia». Un mea culpa che però non tutte le anime pentastellate devono vivere allo stesso modo. A tuonare questa mattina è infatti Massimo Bugani, ex socio di Rousseau, ex segretario di Di Maio e attuale capo staff del sindaco di Roma Virginia Raggi. In un post su Facebook l'esponente grillino compie un’analisi del voto locale e dipinge un quadro impietoso togliendosi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti della gestione nazionale: «Un movimento che in due anni ha perso praticamente 8mln di voti rispetto a quegli 11mln del famoso 33% del 2018 non ha purtroppo assolutamente nessun motivo per esultare oggi. Vedere i selfini gaudenti mentre i nostri candidati di queste regionali sono stati mandati alla carneficina mi dispiace e mi addolora. In regioni dove. Il 45% abbiamo il 10%, in regioni dove avevamo il 15 abbiamo il 3%».

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Le urne hanno parlato chiaro. La classe politica locale del Movimento è stata la grande assente alle elezioni e, anche dove ha stretto delle coalizioni con i dem, ha trascinato questi ultimi versoio basso. È arrivata appena in doppia cifra solo in Campania, dove Valeria Ciarambino fa peggio del 17% ottenuto 5 anni fa e si ferma attorno al 12%, e in Puglia, senza che Antonella Laricchia giochi un ruolo decisivo (11,3%). Restano invece ancora più marginali in Toscana (Irene Galletti 6%), Veneto (Enrico Cappelletti 3,3%), Liguria (8% a sostegno di Ferruccio Sansa, in comune con dem al 38,4%) e Marche (Gian Mario Mercorelli 8,8%). Una sconfitta su tutta la linea che, se da un lato ha costretto il M5s a far apparire il referendum come unico terreno di scontro privilegiato, dall’altro ora rilancia il discorso sulla gestione del partito che vede dissidenti interni e Di Maio rafforzati a scapito della linea moderata ma poco dialogante di Crimi. Non a caso l’eurodeputato pentastellato Ignazio Corrao, vicino alla fronda di Alessandro Di Battista: «Sia in coalizione, sia da soli, i risultati del M5s sono stati tutti peggiori rispetto a quelli di 5 anni fa. Questo apre al nostro interno la necessità di un Congresso immediato e partecipato». Il tutto mentre i Cinquestelle devono anche fare i conti con la grana Chiara Appendino. Tirare le somme non sarà facile quindi, ma ad un certo punto bisognerà farlo.
 

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Ultimo aggiornamento: 16:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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