Crisi di governo, Draghi tratta con i partiti. Letta: «Finirà bene». L'incognita M5S: il premier scrive due discorsi

Oggi comunicazioni al Senato: da Draghi un programma in 5 punti. Il leader pd media tra lui e Conte ma l’incontro scatena Lega e Forza Italia (poi ricevuti a palazzo Chigi)

Martedì 19 Luglio 2022
Crisi di governo, diretta

Gli orari sono scanditi con precisione, eppure nessuno sa davvero quanto durerà e come finirà quella che rischia davvero di essere - al di là della retorica - la giornata più lunga di questo governo. Alle 9,30 Mario Draghi è atteso in Senato per svolgere quelle comunicazioni che, per volontà di Sergio Mattarella, consentono di sottoporre alla discussione del Parlamento la crisi aperta dalle sue dimissioni da presidente del Consiglio. Il giorno dopo toccherà alla Camera. Il timing prevede che dopo la discussione ci sia la replica e poi “l’eventuale” voto di fiducia, oggi a partire dalle 18.30 e domani a Montecitorio dalle 11,30.

Già, perché se ci sarà o meno dipenderà da ciò che il premier dirà a palazzo Madama. Se i tentativi di eliminare i veti reciproci dovessero fallire, c’è sempre la possibilità che si presenti alle Camere con dimissioni irrevocabili senza attendere il voto.

Draghi, al voto di fiducia l’incognita sono i grillini: il premier scrive due discorsi

LA MAGGIORANZA

A dominare la giornata di ieri, però, sono stati i tentativi di ricomporre la maggioranza se non del tutto almeno in parte - visto il rischio di scissione che ancora incombe sul M5s - per cercare di proseguire l’esperienza di questo governo. È quello che vorrebbe il Quirinale, è ciò a cui sta lavorando anche il segretario del Pd Enrico Letta che mostra ottimismo. «Domani (oggi, ndr) sarà una bella giornata, ne sono sicuro». Per poi aggiungere, intervenendo alla festa dell’Unità di Roma: «Questo governo è nato in Parlamento e quello che conta sono le parole che si dicono in Parlamento. Noi chiediamo a tutte le forze politiche della maggioranza di ascoltare domani Draghi e dire la loro». Lunedì sera ha avuto un colloquio telefonico con Giuseppe Conte e ieri mattina ha varcato il portone di palazzo Chigi per parlare con il presidente del Consiglio, prima che lo stesso salisse al Colle per confrontarsi ancora una volta con il capo dello Stato. E anche Renzi è ottimista: «Tutti ormai sappiamo che Draghi rimarrà - dice il leader di Italia Viva - l’unico dubbio è su ciò che farà Conte. Si voterà nel 2023».

Ma la coperta dell’unità nazionale è di quelle corte, se si tira troppo da una parte, ce n’è sempre un’altra che rimane fuori. E, infatti, alla fine il colloquio tra il segretario dem e il presidente del Consiglio provoca lo «sconcerto» del centrodestra di governo riunito a pranzo nella residenza romana di Silvio Berlusconi. «Il premier non può gestire una crisi così complessa confrontandosi solo con il campo largo di Pd e 5 Stelle, a maggior ragione dopo una crisi causata dallo strappo di Giuseppe Conte e dalle provocazioni del Partito democratico», fanno filtrare. Insomma, il centrodestra pretendeva un segnale di attenzione da Mario Draghi. E quel segnale alla fine è arrivato. Dopo una telefonata con Silvio Berlusconi, infatti, Matteo Salvini, Antonio Tajani, Maurizio Lupi e Lorenzo Cesa sono stati ricevuti a palazzo Chigi. 

 

Un atteggiamento da parte del presidente del Consiglio molto diverso da quello con il quale si è presentato dimissionario giovedì scorso al Quirinale, pronto a fare immediatamente le valigie, indisponibile addirittura a rimanere per gli affari correnti. A sentire i suoi collaboratori non è certo l’umore a essere cambiato, piuttosto l’ex presidente della Bce ha dovuto fare i conti con un dato di realtà: gli appelli dei sindaci, le mobilitazioni della società civile, il rischio di pesanti ripercussioni economiche per il Paese causate dall’instabilità, le telefonate ricevute da leader stranieri. Tra queste, ieri, anche quella del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al quale il capo dell’esecutivo - come ci ha tenuto a far sapere palazzo Chigi - ha ribadito il completo sostegno dell’Italia.

IL PROGRAMMA

Ma Draghi non intende certo rimanere a qualsiasi condizione. Ha sempre detto che non avrebbe guidato un governo senza il M5S che è invece precisamente la condizione che pone il centrodestra (assieme a un’apertura su alcuni punti programmatici come la pax fiscale e la revisione del reddito di cittadinanza). 
L’ipotesi è che si presenti con un programma stringato e stringente in cinque punti. Ma il mondo pentastellato è in subbuglio. Il leader dem con Giuseppe Conte ha prospettato l’ipotesi di una onorevole marcia indietro, ossia la possibilità che nel suo discorso al Senato Draghi acconsenta a inserire alcune delle richieste della lista da loro consegnata. Ma Letta sa che questa per il presidente del M5S è una strada stretta, che si scontra con le pressioni di buona parte del suo gruppo dirigente, forte soprattutto in Senato, affinché si dia una cesura netta al rapporto con il governo. «Diciamo la verità - lo attacca infatti il ministro degli Esteri ed ex del Movimento Luigi Di Maio - il partito di Conte ha già deciso di non votare la fiducia al governo Draghi. Conte sta scommettendo sul voto anticipato, ma sarebbe un ulteriore crollo nei sondaggi».

Per questo si ragiona anche sul secondo scenario, quello cioè che prevede che una consistente pattuglia di parlamentari, guidati da Davide Crippa, voti comunque la fiducia al governo. Il capogruppo grillino alla Camera lo dice esplicitamente. «È chiaro che se aprirà ai principali temi posti all’interno dei nove punti da parte del Movimento 5 stelle, diventa ingiustificabile non confermare la fiducia».
 

Ultimo aggiornamento: 20 Luglio, 06:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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