Centrodestra, nuovi attriti sulla scelta del premier. Salvini critico: «Non impongo nomi a nessuno, tanto meno a Mattarella»

Meloni rilancia il presidenzialismo: «Farebbe crescere la nostra economia»

Sabato 27 Agosto 2022 di Francesco Malfetano
Centrodestra, nuovi attriti sulla scelta del premier. Salvini critico: «Non impongo nomi a nessuno, tanto meno a Mattarella»
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«Prima aspettiamo il voto, poi decide Mattarella». A differenza del Quirinale - trincerato dietro ad un inevitabile silenzio istituzionale - Matteo Salvini non lascia cadere nel vuoto la provocazione con cui ieri l’alleata Giorgia Meloni si è sostanzialmente già auto-incoronata premier qualora la coalizione di centrodestra dovesse uscire vittoriosa dalle urne del 25 settembre con un’affermazione netta di Fratelli d’Italia.

Per l’esattezza: «non ho ragione di credere che Mattarella possa assumere una scelta diversa rispetto alla mia indicazione» ha spiegato venerdì sera dal palco della kermesse di Affari Italiani. 

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LA DOTTRINA

Posizione che però infastidisce («E non poco» garantisce chi gli sta accanto) il segretario leghista. A dimostrarlo appunto, l’aver abbandonato la dottrina del «chi prende un voto in più governa» propugnata fino a questo momento, per un meno conciliante «Io aspetto il voto degli italiani prima di fare qualsiasi commento, poi il Presidente della Repubblica sceglierà come è giusto che sia» affidato ieri ai giornalisti pugliesi a margine di un evento elettorale a Bari. E ancora: «Tutti dicono che il centrodestra ha già vinto. Calma. Sono convinto che il centrodestra possa vincere, sono convinto che la Lega possa prendere un voto in più di tutti gli altri, ma non impongo nomi e ruoli a nessuno e men che meno al Presidente della Repubblica». Concetto ribadito poi a sera: «La Costituzione detta i modi e i tempi delle forme perché si arrivi a un incarico - ha spiegato intervistato da Affari Italiani - Poi sono felice di concorrere per il mestiere più bello del mondo, cioè il presidente del Consiglio del mio Paese». Ancora fermo alla casella precedente il coordinatore di Forza Italia e punto di equilibrio della coalizione di centrodestra Antonio Tajani. «Non abbiamo pregiudizi nei confronti di chicchessia: ci siamo dati la regola che chi avrà più voti indicherà un nome al Capo dello Stato. Poi toccherà a lui nominare il Presidente del Consiglio. Se toccherà a Giorgia Meloni saremo felici di sostenerla».

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Un’improvvisa legittimazione e difesa del Quirinale da parte di chi fino a qualche anno fa non faticava a dire «cedo due Mattarella per mezzo Putin», che non può non essere letta come il tentativo di “nascondere” altro. In primis la necessità da parte di Salvini a non dare per persa la campagna per la leadership interna alla coalizione, e in secondo luogo come un messaggio chiaro all’alleata sulla necessità di un triplice fischio. 
Un punto quest’ultimo, valutato anche dal Nazareno. «È del tutto evidente che Salvini venderà cara la pelle. Farà di tutto per impedire che Meloni vada a palazzo Chigi - spiegano dai vertici dem - A dimostrazione del fatto che sono uniti solo dalla volontà di occupare posti potere».

IL PRESIDENZIALISMO

Ma, in un modo o nell’altro, a tirare in ballo il Quirinale in questa campagna elettorale è soprattutto la stessa FdI. Dopo che Meloni aveva già infilato l’ennesima critica («L’anomalia non sarei io, ma lo è stata Monti»), ieri ha anche rilanciato la riforma in senso presidenzialista della Repubblica. Negli ormai consueti video-messaggi pubblicati sui social, la leader forzista spiega che il passaggio ad un sistema di questo tipo avrebbe anche consistenti effetti economici. «Negli ultimi 20 anni la Francia ha avuto 4 capi di governo, che lì coincide con il Presidente della Repubblica. Il Regno Unito ha avuto 5 Primi Ministri. La Germania 3 Cancellieri. L’Italia 11 Presidenti del Consiglio. Una instabilità che ci penalizza nei rapporti con gli altri Stati, perché chiaramente ci fa apparire poco credibili. Una instabilità che penalizza gli italiani, perché Governi che durano così poco non hanno una visione di lungo periodo». Tant’è che, snocciola le cifre, «dal 2000 al 2019 l’Italia è cresciuta meno di chiunque altro in Europa, solo del 4%», mentre Francia e Germania crescevano più del 20%. La «madre di tutte le riforme» in pratica, è il marchio di fabbrica con cui Meloni ha in mente di caratterizzare il prossimo esecutivo a guida centrodestra. Anche perché, ha concluso rivolgendosi ai suoi seguaci sul web, «Il presidenzialismo non è una misura astratta, è la più potente misura economica di cui necessita l’Italia».

Ultimo aggiornamento: 29 Agosto, 08:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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