L'ex sottosegretario: «Fatta fuori senza una telefonata»

Domenica 6 Ottobre 2013
L'ex sottosegretario: «Fatta fuori senza una telefonata»
ROMA - Lasci perdere. Ci mancava pure l’aereo in ritardo di due ore. E ho appena appreso la notizia dal giornale. Si rende conto? Dal giornale!: ha un diavolo per ogni biondissimo capello, Micaela Biancofiore, altoatesina berlusconiana nel cuore.

Ed ex sottosegretario alla pubblica amministrazione. Già, ex. A sua insaputa. «Sono furibonda, ma voglio verificare la notizia, prima di commentare. A me nessuno ha comunicato alcunché», ripete al telefono, incredula. E, quasi a convincere se stessa, insiste: «Non è possibile. Sarebbe un’incredibile autogol di Letta. Rifiuta le dimissioni di tutti i ministri, e non le mie? Certo, questi qui non brillano per cortesia ed educazione, avrei cose da raccontare sugli sgarbi e le scortesie di questi mesi di governo. Ma almeno una telefonata potevano farmela». Un fiume in piena.



Lei, «la biondona» come la chiamava Enzo Biagi, «Caterpillar» per Silvio Berlusconi, non si è data pace per tutta la giornata. Di buon mattino, racconta, ha telefonato al capogruppo a Palazzo Madama Renato Schifani per comunicargli la cattiva novella. «Non ci credo, non è possibile. Ora verifico», avrebbe risposto lui, lasciandola lì a macerarsi. «Comunque, se anche fosse, ed è tutto da verificare, per me sarebbe soltanto un vanto. Tra tanti falchi e colombe, sarebbe la conferma che io sono semplicemente berlusconiana». L’ultima. E, in effetti, il colpo d’occhio è quello dell’ultimo giapponese. Solamente che Biancofiore non vive nella giungla indonesiana, e l’evidenza della débacle del suo mentore, il Cavaliere, non le è certamente sfuggita. «Ma se è così, faccio una megaconferenza stampa. Guardi, sentiamoci nel pomeriggio», conclude minacciosa.



E dire che, tra i sottosegretari pidiellini, solamente lei e Simona Vicari avevano eseguito il diktat arrivato da Palazzo Grazioli: anche i sottosegretari devono dimettersi, aveva deciso Berlusconi, dopo che la minaccia di un esodo parlamentare di massa non aveva sortito alcun effetto, e il ritiro della delegazione ministeriale aveva prodotto soltanto un’accelerazione sulla conta in aula. Ma alla fine, bizzarramente, solamente il forfait di Biancofiore è stato accettato dal presidente del Consiglio Enrico Letta, come confermano, nel pomeriggio fonti di Palazzo Chigi: «Le dimissioni di Biancofiore sono state accettate. Quelle dei ministri no. Di più non c’è da sapere», è la secca risposta. Forse anche un po’ imbarazzata visto che, a parità di condizioni, le dimissioni di Vicari, siciliana assai vicina proprio a Schifani e allo stesso segretario Angelino Alfano, sono invece rientrate.



«Ha fatto sapere che avrebbe preferito ritirarle», spiegano sempre a Palazzo Chigi. Aggiungendo che, «evidentemente, le valutazioni sono state diverse». Troppo berlusconiana? Sulla sua fede di Biancofiore nell’uomo di Arcore non ci sono dubbi, come che sia stata una spina nel fianco di Letta, sin dalla sua nomina, fortemente voluta dal Cavaliere, alle Pari opportunità. Quando le associazioni gay, dalla memoria lunga, hanno urlato allo scandalo, ricordando che la sottosegretaria ha sempre «rivendicato la normalità di Berlusconi e dei suoi costumi sessuali rispetto a chi chiede i matrimoni omosessuali». E lei, per tutta risposta: «Siete una casta che si autodiscrimina». Tanto da costringere Letta a spostarla alla Pubblica amministrazione. Fino a liquidarla, insalutato ospite. Nel pomeriggio, Biancofiore attende ancora una comunicazione ufficiale. Nemmeno Alfano le risponde al telefono. Ma forse la risposta ai suoi quesiti l’ha già data una fonte governativa: «A presentare le dimissioni, può capitare che vengano accettate».
Ultimo aggiornamento: 16:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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