Autonomia come fosse il Covid, riforma senza confronto in Aula a colpi di Dpcm

Il ministro Calderoli e i governatori del Nord al lavoro per bypassare il Parlamento sul testo

Sabato 17 Dicembre 2022 di Andrea Bassi
Autonomia come fosse il Covid, riforma senza confronto in Aula a colpi di Dpcm

Procedere a tappe forzate. Non con delle leggi, ma con dei Dpcm, dei decreti del presidente del Consiglio. Come fatto dal governo Conte durante la pandemia, in modo da bypassare ogni discussione in Parlamento. L’autonomia, nel disegno di Roberto Calderoli va, insomma, affrontata al pari di un’emergenza nazionale.

Più dell’inflazione o del caro bollette.

Autonomia, così riduce i posti di lavoro a Roma. Ministeri svuotati dei dipendenti, colpite anche le attività dell’indotto

Bisogna correre per portare a casa il progetto, come ha ricordato durante la sua audizione in Parlamento, entro la fine del prossimo anno. Con tutte le ricadute che il piano rischia di avere sulla Capitale e sulla sua economia.


IL PARLAMENTO
Nell’autonomia differenziata chiesta dalle Regioni del Nord, le Camere continuano ad essere considerate una sorta di intralcio. I governatori di Veneto e Lombardia hanno chiesto, sin dall’inizio, di poter trattare con Roma da pari a pari, come se fossero capi di uno Stato estero. Nel primo tentativo di approvare il regionalismo differenziato, quello del 2018, non era addirittura previsto nessun passaggio delle intese in Parlamento. L’ultimo documento di lavoro, la legge Quadro, presentata alla Conferenza delle Regioni, prevede che le pre-intese abbiano invece un esame parlamentare per l’acquisizione di un parere entro 30 giorni. Nessuna possibilità, però, di poter emendare i testi, ma solo segnalare al governo modifiche che poi, comunque, andrebbero trattate con le Regioni. E comunque sia, la parte rilevante delle intese, quella che riguarda il personale da trasferire e le risorse da chiedere allo Stato, sarebbe demandata ad una «commissione paritetica» tra il ministero degli Affari Regionali (oggi guidato da Calderoli) e le Regioni stesse. 


Anche sui Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, il Parlamento verrà messo ai margini. L’articolo 143 della legge di Bilancio stabilisce, infatti, che i Lep siano adottati con Dpcm. Perché è un passaggio centrale? È semplice. Usare lo strumento del Dpcm che, come detto limita il confronto parlamentare, va bene per fare una ricognizione dell’esistente. Sulla scuola, per esempio, ci sono norme che stabiliscono che le classi non possono avere più di 26 alunni. Ci si potrebbe, insomma, limitare a riconoscere questo parametro come Lep, come servizio da raggiungere su tutto il territorio nazionale. Se invece si vuole introdurre un parametro nuovo, per esempio la garanzia del tempo pieno in tutte le scuole, allora il Dpcm è uno strumento inadatto. Nelle Regioni meridionali più di un alunno su tre non ha accesso nella scuola primaria al tempo pieno (lo ha certificato un’indagine della Svimez). Dunque se si vuole introdurre un nuovo Lep che assicuri questo “diritto di cittadinanza” in tutto il territorio nazionale ci sarebbero solo due strade: ridurre i servizi a Milano per aumentarli a Catania, oppure trovare delle risorse pubbliche per permettere a Catania di poter migliorare la sua offerta. Se però servono le risorse, lo strumento migliore è il decreto legge o la legge ordinaria con un finanziamento che permetta a chi è più indietro di recuperare terreno. Un esempio è quanto fatto dal governo Draghi per gli asili nido. Il Lep ha stabilito che ci devono essere dappertutto posti per almeno il 33 per cento dei bambini. Per poter garantire questo diritto, da raggiungere a tappe entro il 2030, sono stati stanziati 1,1 miliardi. La norma Calderoli inserita in manovra di Bilancio, invece, non prevede nemmeno un euro. Inoltre questioni così delicate, che toccano i diritti fondamentali dei cittadini, dovrebbero comunque essere sottoposte a un dibattito parlamentare. I Dpcm, invece, sono atti amministrativi nemmeno impugnabili davanti alla Corte Costituzionale.

 
LA CABINA DI REGIA
Ma c’è anche un altro passaggio delicato nella norma sull’autonomia differenziata inserita nella manovra di Bilancio. La definizione dei Lep viene demandata ad una «cabina di regia», presieduta dal Presidente del Consiglio che, però, può delegare il ministro per gli Affari Regionali (ancora Calderoli). Anche qui però, c’è un passaggio delicato: se entro sei mesi la cabina di regia non definisce i Lep, allora ci penserà un Commissario. «Sei mesi», spiega una fonte a conoscenza del dossier dietro garanzia di anonimato, «bastano a mettere le sedie attorno al tavolo». Dunque il commissariamento è certo. Ma decidere quali servizi spettano ai cittadini è un fatto politico, non tecnico. 
 

Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 15:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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