Armi all'Ucraina, Superbonus, nomine: la tenaglia di Lega e FI per frenare palazzo Chigi

Cresce il pressing sulle partecipate. I leghisti: faro sulle aziende energetiche. Il richiamo di FdI sul sostegno a Kiev: «Non ci possono essere ambiguità»

Venerdì 24 Febbraio 2023 di Francesco Bechis
Armi all'Ucraina, Superbonus, nomine: la tenaglia di Lega e FI per frenare palazzo Chigi

È un ticchettio di sottofondo che cresce, talvolta si fa assordante. Palazzo Chigi annuncia decisioni, misure, strategie. Lega e Forza Italia intonano il controcanto. Superbonus? «Dovevamo essere informati, adesso modifiche..». Armi a Kiev? «Sì, ma occhio all’escalation».

E via così sui dossier che contano. Specie i più spinosi. Accise, giustizia, sicurezza. 

Il nodo partecipate

Il cronoprogramma immaginato dalla premier Giorgia Meloni a inizio anno deve fare i conti con umori e malumori di stagione dei suoi due alleati al governo. E la stagione è la più delicata: una primavera di nomine nelle società quotate e partecipate su cui i maggiorenti della coalizione devono trovare una quadra. 
Metodo e merito. Sul primo, come è prassi, l’ultima parola spetta alla premier. Eppure non tutti accettano le regole del gioco. Si possono riassumere così: sul rinnovo dei vertici delle grandi partecipate in scadenza - su tutte Eni, Enel, Poste, Leonardo, Terna - è la stanza più in alto di Palazzo Chigi che deve accendere il semaforo verde. Certo, d’intesa con gli alleati. Che talvolta mugugnano. 
Parla da sola la nota vergata dalla Lega martedì, mentre la premier era in visita a Kiev a cercare di piantare i paletti della politica estera italiana. Quell’auspicio di «un cambio di passo» alla testa di Eni ed Enel sussurrato dalla cerchia di Salvini è un messaggio a FdI e la sua leader. La conferma di Claudio Descalzi alla guida del Cane a sei zampe - data come più che probabile dai bookmakers - è frutto anche di un credito di fiducia della premier verso il top-manager che il suo partito «dovrebbe intestarsi», il refrain a via Bellerio. Ieri è tornato alla carica il senatore leghista Alberto Bagnai, serve «una profonda riflessione di sistema sul ruolo delle grandi aziende energetiche nazionali». Il sottotesto del pressing leghista è la richiesta di più spazio di manovra sui nomi al vertice delle altre grandi partecipate in ballo. È un appunto rivolto non solo a FdI ma a quell’ala governativa in Lega e Forza Italia che si coordina più con Palazzo Chigi che con i rispettivi quartieri generali. 
Un esempio, ancora sul dossier nomine. Ieri pomeriggio c’era un certo fermento tra i forzisti in Transatlantico per la notizia di una decisione imminente del governo sul rinnovo dei vertici del Gse, la partecipata del Mef che si occupa di investimenti sulle rinnovabili. «Tranne il ministro Pichetto, la maggior parte di noi non è stata avvisata..» lamenta un big. E non è un mistero il rimbrotto più ricorrente di Silvio Berlusconi, «se da Roma mi chiamassero di più..», anche per le scelte sulle partecipate di cui il patron di FI ha discusso in una recente riunione ad Arcore con i maggiorenti di partito, dal vice Tajani al capogruppo alla Camera Cattaneo. 
Dentro alla ditta Lega-FI, non mancano sfumature molto diverse sul modo di stare al governo. In casa azzurra, c’è un partito del “Nord”, lombardo e limitrofo a Villa San Martino, che guarda con sospetto al “partito romano”, specie la frangia più vicina a FdI e più coinvolta nelle decisioni dell’esecutivo. Solo un malessere passeggero? Si vedrà. Gli osservatori più maliziosi in Parlamento non escludono che, in un futuro prossimo, possa riprendere piede il progetto - frenato sul nascere - di un partito unico tra Lega e FI. O almeno la parte - di entrambe le scuderie - più istituzionale, meno barricadera e pasdaràn. Scenari ancora lontani che non preoccupano al momento premier e maggioranza.

I distinguo

Superato il test delle Regionali con il miglior esito possibile - da un lato il boom di FdI in Lombardia e Lazio, dall’altro un risultato non al di sotto delle aspettative degli alleati - Meloni rimetterà testa all’agenda di governo. Senza prestare troppo l’orecchio al controcanto nella coalizione. Che pure continua.
Non si è ancora chiuso il caso Superbonus: ottenuto il tavolo con le categorie sui bonus edilizi, FI promette nuove proposte di modifica al decreto del Mef in Parlamento. Stessa musica per il sostegno all’Ucraina. Se Meloni e FdI sembrano pronti al salto di qualità nelle forniture a Volodymyr Zelensky, senza togliere dal tavolo l’invio di aerei militari (nel rispetto di vincoli e disponibilità), leghisti e forzisti frenano e scacciano via l’idea, «si rischia l’escalation». Perfino una visita programmata all’ambasciata ucraina di una delegazione di FdI guidata dal capogruppo a Montecitorio Tommaso Foti ieri si è trasformata in occasione di nuovi distinguo. Sull’invio di armi a Kiev «riteniamo che non ci possano essere ambiguità», ha ammonito Foti. Su questo come su tutto il resto, il messaggio ad amici e alleati, «la posizione di FdI sarà in linea con quella che il governo propone».

Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 08:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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