Inaffondabile Aci, lobby dei frenatori:
l'abolizione del Pra è stata una
battaglia persa già da tre governi

Giovedì 26 Giugno 2014 di Mario Ajello
Inaffondabile Aci, lobby dei frenatori: l'abolizione del Pra è stata una battaglia persa già da tre governi
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ROMA - Quelli che frenano. Quelli della richiesta o della pretesa di sconto (non si potrebbe alzare un po’ il tettuccio dei maxi-stipendi?).

Quelli che pensavano di dover sanguinare da subito e invece sono riusciti a rinviare il proprio dolore o a renderlo meno lancinante. Attivando canali nell’ombra, prospettando possibili ritorsioni corporative, insinuandosi in quella terra di mezzo tra la pratica amministrativa e la decisione governativa in cui tutto si confonde e si scompone e e sguazzando in quella palude con l’obiettivo di impaludare il governo. Non è che hanno vinto tutti i frenatori - con l’aiuto del sapiente non fare o del sottile disfare dei burocrati - e che ha perso su tutti i fronti Renzi nel decreto sulla Pubblica Amministrazione. Però la lobby Aci, solo per fare l’esempio più eclatante, ha battuto il premier. Il quale non è riuscito a sopprimere il Pra (il registro automobilistico da cui arrivano duecento milioni all’anno per il club automobilistico) e mastica amaro di fronte all’ennesimo trionfo del sistema trasversale delle quattro ruote. «Non mi fermerò sull’accorpamento tra Pra e Motorizzazione, non mi arrendo a questo blocco», è la promessa del capo del governo. E a settembre vuole inserire questa riforma (che produce un risparmio di 60 milioni) nel decreto Sblocca Italia, ma già era stata compresa invano nelle famose slide. Nel braccio di ferro tra Palazzo Chigi e la lobby gommata, fortissima in Parlamento, specie a destra ma anche a sinistra, non è affatto detto però che la spunti il premier. Lì da dove è uscito con le ossa rotte Mario Monti (il quale aveva annunciato l’accorpamento addirittura nel discorso inaugurale del suo governo in Parlamento) e s’impaludò anche Bersani, da ministro nell’esecutivo Prodi, il quale dopo le lenzuolate liberalizzatrici raccontò da sconfitto: «Non gli avvocati o i farmacisti o i commercianti. La lobby più forte è quella dell’Aci».



IL CARROZZONE

Il carrozzone Aci spende 130 milioni l’anno per 3mila dipendenti e la politica continua a guardarlo come a un giardino di casa, piazzando accoliti, protetti e parenti. Come nel caso dell’ex ministro Brambilla che ha nominato commissario straordinario dell’automobil club di Milano il fidanzato Eros Maggioni, poi raggiunto dal figlio di La Russa (Geronimo, vicepresidente) e dal figlio dell’imprenditore Bruno Ermolli, uno dei più cari amici di Berlusconi. 900 poltrone remunerate, 106 comitati provinciali, diramazioni ovunque: una potenza territoriale capillare e un bacino elettorale spaventoso. Scegliersi un nemico così a chi può convenire? A nessuno. E in materia, Renzi ha anche avuto una dialettica forte con il ministro Lupi.



La lobby dei magistrati un po’ ha perso (e sono infuriati) ma molto ha anche vinto. Andranno in pensione a 70 anni e non più a 75 ma hanno ottenuto che il loro trattenimento in servizio sarà possibile fino al 2016. Possono del resto avvalersi, i togati, di santi in Paradiso e di armi di dissuasione molto potenti. E’ un caso che Giorgio Santacroce (primo presidente della Cassazione) e Gianfranco Ciani (procuratore generale) lancino questo avvertimento («Se si mette troppa carne a fuoco, la riforma della giustizia rischia di essere fragile»), mentre viene varata la riforma della Pubblica Amministrazione che riguarda il ceto togato? Ai militari comunque è andata anche meglio che ai magistrati. Generali e colonnelli, tramite i loro tramiti nelle burocrazie e negli apparati tecnici, hanno spuntato lo sconticino: in pensione a 67 anni e non ha 62. E’ nei gangli dell’apparato dello Stato che si insinua il potere che non si vede, ed è quello che frena, annacqua, tronca e sopisce le misure del governo. O le vanifica tramite la tecnica dello sfinimento: tu, caro Matteo, vuoi fare di testa tua e non ti consulti con noi e allora vai avanti da solo e andrai a sbattere contro un muro di gomma. E’ l’immobilismo il vero obiettivo dei frenatori, nel quale non cambiando nulla si accresce il potere d’interdizione di chi può frapporsi tra il decisore politico e i destinatari delle scelte, cioè i cittadini semplici, stanchi di privilegi (degli altri) e di sperperi (che pagano tutti). I consiglieri di Stato fanno parte di questo contesto. C’era una norma nelle prime versioni dell’ultimo decreto, che diceva: i consiglieri di Stato non possono fare i capi di gabinetto dei ministri. Il che avrebbe significato, per esempio, che Roberto Garofoli, capo di gabinetto del ministro Padoan e uomo forte a Via XX Settembre, lasciava il suo potente incarico. Ma questa norma alla fine è saltata. E anche qui, nella visione di Renzi, la palude si è rivelata più agguerrita dell’innovazione. Anche il divieto assoluto per i pensionati di lavorare ancora nella Pubblica Amministrazione si è annacquato e chi già ci lavora può continuare fino a scadenza del contratto ma questa restrizione non vale per gli organi costituzionali: come il Parlamento o la Corte Costituzionale o la Banca d’Italia. La lobby di via Nazionale ha messo a segno un altro colpo: i suoi dipendenti non rientreranno nel taglio del venti per cento allo stipendio accessorio che riguarda chi lavora nelle authority.



IL LAVORIO

Esenzioni, sconticini, dilazioni sono il risultato del lavorio sotterraneo dei frenatori. Che sono per lo più i gruppi di potere tecnico, anche perchè i tecnici - come ricordava Ugo La Malfa - difendono interessi, i propri o quelli del vicino, non sono neutrali nè super partes. I frenatori però, in qualche raro caso, agiscono alla luce del sole. Come è appena accaduto all’Assemblea regionale siciliana, dove è stata bocciato il tetto agli stipendi dei funzionari, a cominciare da quello record del segretario generale dell’Ars il quale guadagna 1600 euro al giorno. E i tagli agli stipendi dei parlamentari nazionali, che si sono persi di vista dopo tanti annunci a trombe squillanti? E la sorda resistenza dei sindacati contro Renzi, il quale batte e ribatte sul tema sgraditissimo della trasparenza dei conti delle organizzazioni dei lavoratori? L’interdizione e il catenaccio come strategie politiche sotto traccia sono il vero potere che non dorme mai.
Ultimo aggiornamento: 19:40

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