«Caso Vannini, indagini furono lente», chiesta l'archiviazione per la pm. Ciontoli a processo l'8 luglio

Venerdì 29 Maggio 2020 di Emanuele Rossi
«Caso Vannini, indagini lente» Chiesta l'archiviazione per la pm

Chiesta l'archiviazione per Alessandra D'Amore, il pm che si occupò delle indagini sul caso Vannini. Era stato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ad avanzare tre mesi fa un'azione disciplinare nei suoi riguardi ritenendo «superficiali» i rilievi svolti nei momenti successivi allo sparo costato la vita al giovane cerveterano 20enne la sera del 18 maggio 2015 nella villetta dei Ciontoli, a Ladispoli. Era entrato a gamba tesa il Guardasigilli lasciando trapelare che secondo il suo parere la pubblica accusa avrebbe agito con «negligenza» arrecando un ingiusto danno alle parti offese, ovvero alla famiglia Vannini.

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Per questo lo scorso 17 febbraio Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione, aveva deciso di ascoltare Alessandra D'Amore, assistita dal difensore e procuratore aggiunto di Roma, Stefano Pesci. Poi era stata la volta di Gianfranco Amendola, procuratore capo di Civitavecchia nel 2015 (ora in pensione), convocato come persona informata sui fatti e pronto nell'interrogatorio a difendere l'operato del pm D'Amore. Così come pubblicamente a protezione del pubblico ministero si era esposto anche Andrea Vardaro, attualmente alla guida della Procura di Civitavecchia.
 



E proprio gli uffici di Terme di Traiano erano finiti nel mirino di Bonafede che, non soddisfatto delle indagini, spedì un anno fa gli ispettori ministeriali. D'Amore attualmente è in forza alla procura generale di Roma dopo essere stata in servizio per oltre 10 anni a Civitavecchia. La richiesta di archiviazione verrà ora esaminata dalla sezione disciplinare del Csm che potrebbe mettere la parola fine alla vicenda e, di conseguenza, accendere di nuovo i riflettori sul ministro ultimamente nella bufera per il caso delle scarcerazioni dei boss. Sul lato processuale però la partita è aperta. 

IL PROCESSO
Il prossimo 8 luglio si tornerà in aula per l'appello-bis come sancito dalla Corte di Cassazione lo scorso 7 febbraio. Rischia 14 anni di carcere per omicidio volontario con dolo eventuale l'intera famiglia presente in casa in via De Gasperi quando Marco venne ferito mortalmente. A cominciare da chi premette il grilletto, il sottoufficiale della Marina con un ruolo nei servizi segreti Antonio Ciontoli, ma la stessa pena rischia anche la moglie Maria Pezzillo e i figli, Martina e Federico. Diverse le falle investigative evidenziate in tutti questi anni dagli stessi Vannini. La villetta dell'omicidio non fu mai posta sotto sequestro. Non venne neanche adoperato il luminol dai carabinieri di Civitavecchia e Ladispoli, strumento utile per evidenziare la presenza o meno di tracce ematiche sulla scena del crimine, in questo caso il bagno. Inoltre i militari non sentirono nemmeno tutti i vicini dei Ciontoli. Intervengono nuovamente i Vannini.

«In quei 110 minuti come stabilito a febbraio dai giudici della Cassazione commenta Valerio, il padre della vittima è emerso che i Ciontoli, mentre nostro figlio soffriva, non hanno fatto nulla per salvarlo. Perciò siamo concentrati su questo aspetto e confidiamo nella giustizia anche se la verità ci è stata ormai preclusa e questo lo abbiamo detto dal primo giorno». Mai una parola sulla vicenda da parte degli imputati che lasciarono Ladispoli dopo l'uccisione del giovane. Antonio e la moglie si trasferirono in Campania, mentre i figli vivrebbero ancora nella Capitale, Martina con il suo nuovo fidanzato e il fratello Federico sempre con Viola Giorgini, anche lei presente nella villetta al momento dello sparo ma assolta dall'accusa di omissione di soccorso. 
 

Ultimo aggiornamento: 10:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA