Naufragio Cutro, la Procura di Crotone indaga sui soccorsi partiti in ritardo: inchiesta sui responsabili

La procura chiede a Guardia di Finanza e Guardia costiera gli atti sul naufragio. Da chiarire anche il ruolo di Frontex. Aperto un fascicolo, ancora contro ignoti

Giovedì 2 Marzo 2023 di Valentina Errante
Naufragio Cutro, soccorsi partiti in ritardo: inchiesta sui responsabili

Dopo avere identificato e fermato gli scafisti, per la procura di Crotone si apre un altro fronte. Ed è quello dei possibili ritardi nelle operazioni di soccorso e negli interventi che, nella notte tra sabato e domenica, avrebbero potuto salvare le 67 vittime (un corpo è stato recuperato ieri in mare e un altro avvistato) al largo di Cutro.

Un buco di sei ore, tanto trascorre dal momento in cui la barca, con a bordo almeno 180 persone, viene segnalata e quello in cui scattano le operazioni. E questa volta le indagini, nel fascicolo ancora contro ignoti, sono state delegate ai carabinieri. Sono tre gli attori che hanno svolto un ruolo quella notte: Frontex, l’agenzia di frontiera Ue, la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera. Ciascuno ritiene di avere agito rispettando i protocolli e ha già presentato una relazione. Ma, se sia vero, lo verificherà la procura, dopo avere acquisito relazioni di servizio, brogliacci e tutte le comunicazioni intercorse tra la Guardia di finanza e la Guardia costiera, compresa l’ultima, una decina di minuti prima dello schianto su una secca a 100 metri dalla spiaggia.

LA RICOSTRUZIONE

Sono le 22,26 del 25 febbraio quando l’aereo di Frontex “Eagle one” avvista un’imbarcazione “sospetta” a circa 40 miglia dalla costa calabrese che «risultava navigare regolarmente, a 6 nodi e in buone condizioni di galleggiabilità, con solo una persona visibile sulla coperta» e segnala che potrebbero esserci «possibili altre persone sotto coperta». La segnalazione, inviata alle 23,03, è indirizzata all’Icc, il punto di contatto nazionale interforze per l’attività di law enforcement (per l’operazione di polizia) e, per conoscenza, anche ad altri destinatari tra i quali il centro di coordinamento marittimo della Guardia Costiera (Imrcc) e la centrale operativa della Guardia di Finanza. In seguito a quella comunicazione, il Reparto operativo aeronavale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, dopo un primo tentativo alle 00,30 interrotto dal maltempo, alle 2,20, disponeva l’uscita in mare di una vedetta della sezione operativa navale di Crotone, che, insieme un pattuglione partito da Taranto, intraprendeva la navigazione «per intercettare» l’imbarcazione». Un’attività, appunto, di «law enforcement» e cioè di polizia e non di soccorso: nessuno ha ricevuto una richiesta di aiuto, né da parte dei migranti a bordo né da loro familiari, come solitamente avviene in questi casi. Una mancanza di comunicazione - è emerso dalle testimonianze dei superstiti - dovuta alla volontà degli scafisti di non farsi intercettare. Qualora vi fosse stato, o comunque fosse stato dichiarato l’evento Sar, le regole di ingaggio della Guardia costiera prevedono l’intervento, anche in presenza di dati non certi. Ma nel caso del barcone, l’evento Sar non è stato mai dichiarato. Le due unità delle fiamme gialle sono poi costrette a rientrare a causa del mare mosso - forza 4 - che non aveva consentito di raggiungere l’obiettivo. Quello che accade dopo è documentato dalla telefonata delle 3,38 tra i finanzieri e la Guardia Costiera, una decina di minuti prima dello schianto del barcone. Le Fiamme gialle informano che le loro unità stanno rientrando e chiedono se ci siano imbarcazioni della Guardia costiera in mare, ricevendo una risposta negativa. Dopo aver informato, «giusto per notizia», di non aver individuato il «target» segnalato da Frontex, i finanzieri domandano: «Voi naturalmente non avete nulla, nel caso ci dovessero essere situazioni critiche?». E dalla Guardia costiera rispondono: «Noi al momento in mare non abbiamo nulla». La telefonata prosegue con i militari della Finanza che ribadiscono l’ultima posizione nota del caicco, ad una quarantina di miglia dalla costa. «E poi - aggiungono - noi dal radar non battiamo nulla». 
Significa che la strumentazione di bordo delle motovedette non aveva individuato il barcone. Quindi chiudono la comunicazione non prima di avere aggiunto «va bene, era giusto per informarvi». La sequenza di comunicazioni tra i due corpi conferma sostanzialmente che l’operazione scattata in mare nella notte tra sabato e domenica mattina, dall’avvistamento dell’aereo Frontex fino a pochi minuti prima della tragedia, è stata gestita come “law enforcement”, e non evento Sar, non essendo emersi elementi che facessero ipotizzare una situazione di pericolo. 

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OPERAZIONE DI POLIZIA

Il protocollo per le operazioni Sar (Search and rescue, “ricerca e soccorso”) prevede tre livelli di emergenza, con procedure standard. Il livello più basso si chiama “fase di incertezza”(Incerfa) e riguarda «una situazione nella quale si può dubitare della sicurezza di una persona, di una nave o di un altro mezzo», si apre quando «esiste un dubbio sulla sicurezza di un mezzo o del suo personale dovuto a mancanza di informazioni o alle eventuali difficoltà in cui potrebbero versare». La fase successiva è quella di “allerta” (Alerfa), quando da molto tempo si siano persi notizie del natante per il quale era stato attivato l’Incerfa. Ma solo il terzo protocollo riguarda una situazione di pericolo e prevede l’intervento (Deteresfa). In questo caso si avviano le operazioni di ricerca e soccorso con l’intervento in mare dei mezzi della Guardia costiera per effettuare il soccorso. 
Ma a Cutro nessuna di queste fasi è stata attivata. 

Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 11:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA