A Ancora un record negativo delle nascite, per la prima volta sotto 400 mila dall’Unità d’Italia.
LE CAUSE
Partiamo proprio dalla natalità. Il consuntivo provvisorio dello scorso anno si è fermato a poco meno di 393 mila bambini. Rispetto al 2008 la contrazione è di oltre 184 mila. Ma l’istituto nazionale di statistica ci ricorda che solo una parte di questo andamento è dovuta alla rinuncia delle coppie ad avere figli. Più precisamente, rispetto al 2019, circa un quinto del fenomeno si spiega con la riduzione del tasso di fecondità (che infatti è sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni).
A pesare di più - per i restanti quattro quinti - sono invece il calo dimensionale e il progressivo invecchiamento delle potenziali mamme, ovvero della popolazione femminile in età feconda (convenzionalmente quella tra i 15 e i 49 anni). Vuol dire che risalire la china sarà molto più difficile, perché gioca contro il crollo demografico degli anni Ottanta e Novanta. Dunque gli interventi sui fattori che riducono il numero effettivo di figli, rispetto a quello teoricamente desiderato (aiuti economici e servizi come i nidi insufficienti, precarietà del lavoro e bassa occupazione femminile) dovrebbero essere ancora più aggressivi. Va aggiunto che l’Italia non è tutta uguale: a fronte di un numero medio di figli per donna pari a 1,24 a livello nazionale, il Trentino-Alto Adige è sopra quota 1,5 mentre la Sardegna si ferma a 0,95 e il Centro nel suo insieme a 1,16. Lo scorso anno le cose sono andate un po’ meglio al Mezzogiorno, che ha visto una leggera ripresa di questo indicatore.
Nel 2022 i morti sono stati 713 mila, valore in risalita rispetto all’anno precedente, pur se inferiore al 2020. L’85 per cento dei defunti sono persone di 70 anni o più, mentre se si guarda al calendario i decessi si intensificano nei mesi più freddi (gennaio e dicembre) e in quelli più caldi (luglio e agosto). La componente più fragile della popolazione risente insomma delle condizioni climatiche; siccome questo è avvenuto spesso negli ultimi anni, l’Istat conclude che i cambiamenti climatici stanno assumendo «rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza». La speranza di vita alla nascita avanza per gli uomini (80,5 anni ovvero due mesi e mezzo in più) mentre è stabile per le donne a 84,8 anni. L’ipotesi è che nel contesto post-pandemico proprio le donne, normalmente più inclini alla prevenzione, paghino anche la rinuncia a visite programmate e controlli a causa della crisi del sistema sanitario.
Lo sbilancio di oltre 320 mila unità tra nascite e decessi si traduce in una riduzione più contenuta della popolazione (-179 mila) perché è in parte compensato dai flussi migratori, con il saldo netto con l’estero in costante recupero dopo il calo del 2020: l’Italia risulta più attrattiva per gli stranieri. Al primo gennaio 2023 questa componente è andata ancora in controtendenza, con un incremento di circa 20 mila unità, a quota 5 milioni e 50 mila. Ma ci sono anche gli spostamenti interni, ugualmente in ripresa e sfavorevoli al Mezzogiorno. Questo elemento aiuta a spiegare perché Sud e Isole, con una popolazione pari a un terzo del totale, abbiano sperimentato lo scorso da soli una contrazione di 125 mila residenti. Oltre due terzi di quella totale.
LE PROSPETTIVE
Con tutte queste premesse, l’Italia è un Paese sempre più vecchio. L’età media è arrivata a 46,4 anni (dai 45,7 di inizio 2020) e l’incidenza degli ultrasessantacinquenni (oltre 14 milioni di persone) sale al 24,1 per cento. Al contrario si riduce la quota di coloro che hanno tra i 15 e i 64 anni (la popolazione in età attiva, ovvero i potenziali lavoratori) e quella dei ragazzi fino a 14 anni, che ora sono appena il 12,5 per cento degli italiani. Infine un primato in positivo: il numero degli ultracentenari raggiunge il suo livello storicamente più alto. Sono quasi 22 mila e rispetto a 20 anni fa risultano triplicati.