Messina Denaro, come è stato arrestato? Il database dei malati oncologici e le intercettazioni delle sorelle

Il boss è stato bloccato in strada, nei pressi di un ingresso secondario della clinica La Maddalena

Lunedì 16 Gennaio 2023 di Nicola Pinna, inviato a Palermo
Messina Denaro, come è stato arrestato? Il metodo Dalla Chiesa : le intercettazioni e la banca dati sui malati oncologici

PALERMO Nel cercare di entrare nella vita di un altro uomo Matteo Messina Denaro non aveva fatto i conti con la tecnologia. Non tanto quella delle vecchie e mai superate intercettazioni, ma quella che consente agli investigatori di sbirciare silenziosamente anche nelle banche dati dei pazienti di una clinica. La trappola è scattata così: mettendo insieme un’informazione preziosa raccolta ascoltando le chiacchiere imprudenti delle sorelle del boss con la lista di tutti i malati di tumore della Sicilia. C’è voluto molto tempo, ma in queste indagini la fretta non è mai una buona alleata. E i carabinieri se lo sono preso tutto, il tempo necessario. Una per una, hanno analizzato l’identità di tutti i pazienti oncologici: le caratteristiche fisiche, le condizioni e la provenienza. In primavera, quando si sono imbattuti nel nome di Andrea Bonafede, hanno capito che c’era qualcosa di strano.

E lo hanno verificato con meticolosità. 

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Il primo sospetto è balzato agli occhi quando il vero geometra di Campobello di Mazara, stando almeno ai certificati depositati in ospedale, era stato sottoposto a un piccolo intervento in day hospital alla clinica La Maddalena ma pareva non essere mai stato lì. Esattamente in quelle ore, infatti, lo smartphone di Andrea Bonafede (uno che per gli investigatori non era proprio sconosciuto) ha agganciato una cella telefonica non lontana da casa, in quel piccolo borgo che si trova nei dintorni di Trapani, a 108 chilometri dal capoluogo siciliano. Da lì si è capito che qualcosa di strano c’era. E non a caso, anche ieri mattina, quando la primula rossa si fingeva signor Bonafede, quello reale era a casa, guardato a vista dai carabinieri. Il resto dell’indagine, conclusa con abbracci e applausi, è fatta di accertamenti tecnici che però i carabinieri del Ros non vogliono svelare. «Qualche giorno fa abbiamo avuto la certezza che la persona che si presentava con quel nome alla casa di cura aveva prenotato una visita per lunedì mattina e a quel punto abbiamo organizzato il blitz - racconta il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto - Ma fino a quando non abbiamo fermato quell’uomo non potevamo essere sicuri che il paziente in cura fosse davvero il latitante, anzi l’ex latitante. Diciamo che su un aspetto non avevamo dubbi: quello in cura non era il titolare di quel documento e di conseguenza sospettavamo che fosse proprio l’uomo che cercavamo da trent’anni».

 

 

A ingannare il boss che ancora teneva le redini di Cosa Nostra sono state le persone che più hanno fatto per proteggerlo ed evitargli le manette. Gli volevano salvare la vita e hanno iniziato ad agitarsi troppo: cercavano un modo di curarlo, le tre sorelle di Matteo Messina Denaro e forse proprio una di loro ha fatto sapere agli instancabili militari del Ros che nel misterioso covo si stava fronteggiando l’inaspettata emergenza, quella di una malattia gravissima e già in fase avanzata. A rendere più complicata la vita del fantasma di Castelvetrano sono stati anche gli arresti: la rete di supporto si è ridotta e di molto, in tutti questi anni. Anche economicamente. «In due lustri l’Arma ha arrestato 100 persone, tutte con l’accusa di aver avuto un ruolo nella latitanza del super boss - ricorda il generale Angelosanto - Le confische, che solo per quanto riguarda i carabinieri, superano i 150 milioni di euro hanno dato un altro colpo fatale all’organizzazione mafiosa. A questi dati ovviamente si devono aggiungere anche i sequestri fatti scattare dalla Polizia di stato e dalla Guardia di finanza. Insieme abbiamo complicato e di molto la vita quotidiana di Cosa nostra, diciamo che ne abbiamo compromesso il funzionamento».


LA SITUAZIONE
Ora che il numero uno degli stragisti è in cella i mandamenti devono riorganizzarsi. Riina aveva nominato i suoi eredi e ora si scoprirà se anche Matteo Messina Denaro avesse messo in conto di perdere tutto il potere e di lasciare affari, violenze e influenze nelle mani di qualcun altro. Per ora ha perso la sua partita. Ma la differenza tra uno stragista e lo Stato si nota quando il boss è in manette. Quando il nemico potrebbe infierire e invece mostra più pietà che durezza. E basta riguardare i video girati con gli smartphone davanti alla clinica La Maddalena: i carabinieri lo trattano con rispetto quell’uomo seminascosto da un montone e un cappello di lana calato fin sulla fronte. Non gli mettono le manette, i militari dei reparti speciali: gli stanno ai fianchi ma lo affidano a una carabiniera che lo tiene sottobraccio con rispetto. Cammina piano e prima di salire sul furgoncino dell’Arma deve stare attento a non perdere l’equilibrio. Che stia male si vede, eccome. E non bluffa, perché anche al momento della cattura un criminale che si sente anche simbolo sente il dovere di mostrarsi duro. Non piegato. «La malattia lo ha reso più vulnerabile - sottolinea il procuratore aggiunto Paolo Guido, che ha coordinato in prima persona questa inchiesta - Tutto sommato comunque non abbiamo trovato una persona in pessime condizioni: diciamo che il quadro è coerente con un sessantenne che affronta quel genere di patologia. In carcere potrà proseguire le terapie».

 

Ultimo aggiornamento: 9 Aprile, 23:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA