Totò Di Gangi trovato morto a Genova sui binari: il boss era un fedelissimo di Riina. Era stato fatto scendere dal treno perché senza Green pass

Domenica 28 Novembre 2021 di Flaminia Savelli
Salvatore Di Gangi e Totò Riina

Stava camminando dentro una galleria sui binari della ferrovia quando un treno merci lo ha travolto e ucciso. Inizia qui il giallo sulla morte di Salvatore Di Gangi, il super boss e fedelissimo al capo indiscusso di Cosa nostra, Totò Riina, deceduto in carcere nel 2017. Lo hanno trovato morto sabato sera nella galleria che a Genova collega la stazione di Principe e Brignole.

In tasca aveva un biglietto ferroviario con destinazione in una città del sud.

Secondo i primi accertamenti, sarebbe stato fatto scendere da un convoglio alla stazione di Genova Principe, perché privo di Green pass.

Al momento la questura genovese esclude che possa essersi trattato di un omicidio e propende per una disgrazia. Ma per il suo passato criminale, non si esclude alcuna ipotesi ecco perché la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo ligure ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di omicidio colposo. 

Il sostituto procuratore della Dda Federico Manotti ha disposto l'autopsia. Incaricati ora delle indagini sono la Squadra Mobile sia la Polfer. Gli investigatori stanno lavorando per ricostruire gli spostamenti del boss di Sciacca, 79 anni, che era stato appena scarcerato. Era infatti rinchiuso nel carcere di Asti per una condanna a 17 anni per associazione mafiosa inflittagli con rito abbreviato nel processo “Montagna” sui clan dell’Agrigentino. La corte d’Appello di Palermo, però, aveva deciso di scarcerarlo sulla base di una perizia medica che ne attestava deficit cognitivi.

La storia di Salvatore Di Gangi

Nato a Polizzi Generosa, nel palermitano, Di Gangi era un ex dipendente bancario poi diventato costruttore edile, coinvolto in diverse vicende giudiziarie. Già catturato nel 2018 nell’ambito dell’operazione “Montagna, il suo nome era spuntato anche nelle indagisi sul complesso alberghiero “Torre Macauda”, un tempo di proprietà dell’ingegnere Giuseppe Montalbano, attraverso una società da lui controllata. Anche quest'ultimo un nome già noto alla Dda: l’ingegnere rosso (di estrazione comunista e figlio di parlamentare Pci), proprietario della villetta di via Bernini dove Totò Riina venne catturato nonché indagato per aver favorito la latitanza proprio di Di Gangi. Un giro vorticoso di denaro, scatole cinesi, imprenditori compiacenti e sullo sfondo la complicità di un dirigente di banca che avrebbe rilasciato una quietanza per un pagamento di 8 milioni avendone ricevuti solo 4.

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L'indagine, molto complessa, aveva portato all’esecuzione di perquisizioni in due filiali della UniCredit di Palermo e alla notifica di otto avvisi di garanzia tra gli altri a Di Gangi, al figlio Alessandro e a un funzionario dell’istituto di credito.

Ultimo aggiornamento: 29 Novembre, 15:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA