L'editoriale/ Successo di Zaia e flop di
Brunetta: partiti e leader contano ancora

Mercoledì 31 Marzo 2010 di Roberto Papetti
Renato Brunetta e Luca Zaia: ora soltanto il secondo sorride (Candid Camera)
MESTRE (31 marzo) - Imprevisti e sorprese della politica. Nella regione dove il centrodestra elegge Luca Zaia con il 60,1% dei consensi e la Lega diventa il primo partito in gran parte delle province, il centrosinistra conserva il sindaco della citt capoluogo, Venezia, dando una prova di forza che annichilisce, con un voto senza appello, Renato Brunetta, uno dei ministri più popolari del governo Berlusconi.



Sorprendente? Solo fino a un certo punto. In realtà questi risultati, a prima vista contraddittori, dimostrano che, anche se le ideologie sono finite, le idee in politica contano sempre e contano anche i partiti, il loro insediamento nel territorio e la loro capacità di esprimere classi dirigenti e leader. E tutto questo ha pesato, non solo in Veneto determinando il successo del Carroccio, ma anche a Venezia, portando il mite e compassato avvocato Giorgio Orsoni sulla poltrona che è stata dell'imprevedibile Massimo Cacciari.



Partiamo dalla Regione.



Il successo veneto della Lega è il risultato di un lungo percorso che, pur tra non poche contraddizioni, ha portato in due decenni il movimento "padano" a raccogliere in Veneto l'eredità della Dc come capacità di rappresentenza interclassista e quella del Pci come presenza capillare e controllo "militare" sul territorio. Se a questo si aggiungono un gruppo dirigente coeso e le capacità di un leader comunicativo e sufficientemente moderato come Luca Zaia, il gioco è fatto.



Ma l'arrembante successo della Lega è anche lo specchio delle debolezze del Pdl veneto. Certamente la scelta di Berlusconi e Bossi di assegnare alla Lega il candidato-governatore in Veneto ha indebolito nella sfida elettorale il Popolo della libertà. Ma questo non basta a spiegare la clamorosa batosta subita dal Pdl veneto, superato in alcune province della regione persino dal Pd. In realtà, uscito malamente di scena Galan, rivelatosi quanto mai un "leader senza partito", il Pdl veneto si è scoperto un "partito senza leader" e ne ha pagato le conseguenze, consumandosi in guerre intestine e rivelandosi incapace di proporre all'elettorato una proposta politica non alternativa, ma concorrenziale rispetto a quella dell'alleato "padano". Il risultato è quello uscito dalle urne: numeri deludenti, ma che rappresentano un patrimonio importante di consensi, a patto che il Pdl veneto sappia utilizzarlo non per ulteriori rese dei conti interne, ma per ripensare radicalmente a sè stesso e al proprio futuro. Fuori e dentro il prossimo governo regionale.



Leader e classi dirigenti sono due concetti-chiave anche per capire ciò che è successo a Venezia, dove il ruolo e l'intelligenza politica di Massimo Cacciari sono stati determinanti. Il sindaco-filosofo ha capito meglio e prima di altri che se il centrosinistra voleva tenere Venezia doveva allargarsi al centro ed allearsi con l'Udc (rivelatasi determinante). Per questo, ben sapendo di scontentare molti del suo partito, ha puntato su Giorgio Orsoni: un moderato, esterno e persino estraneo al Pd, certamente non catalogabile come un suo fedelissimo. E dopo averlo "investito" come suo successore, Cacciari ha usato tutto il suo carisma e la sua leadership per imporlo e farlo accettare ai settori più riottosi della sua maggioranza. I fatti gli hanno dato pienamente ragione. Dal canto suo Giorgio Orsoni ha dato prova di un acume politico e tattico che forse ha stupito più di qualcuno: all'attivismo scoppiettante del generoso e mai banale Brunetta, l'avvocato veneziano ha opposto una campagna rassicurante che ha ricordato per certi aspetti quella della "Force tranquille" (Forza tranquilla) che fece la fortuna del presidente socialista francese Francois Mitterand. Non si è fatto trascinare in una campagna "fuoco e fiamme" ma ha lanciato pochi e chiari messaggi, come quando ha dichiarato che non avrebbe inserito nella sua squadra di governo alcun assessore della giunta Cacciari: un segnale di discontinuità, che alla fine lo ha premiato.



Al contrario di Orsoni, Brunetta è apparso come il cavaliere solitario impegnato nella conquista della Laguna rossa. Penalizzato dalla scelta di fare il sindaco-ministro, ha dato spesso l’impressione di non aver dietro di sè una coalizione convinta e compatta e la sfilata di ministri in missione a Venezia ha, per certi aspetti, contribuito ad accentuare questa sensazione di debolezza "territoriale". L'analisi dei flussi elettorali consentirà nei prossimi giorni di valutare con più chiarezza i risultati, ma appare sin d’ora chiaro che a Brunetta sono mancati in particolare molti voti della Lega. Nelle regionali a Venezia il Carroccio è cresciuto assai meno che in altre realtà venete: alle comunali è persino arretrato. Un dato che deve far riflettere l'intero centrodestra e il gruppo dirigente del Carroccio veneto, anche ripensando a episodi recenti come la "rimozione" del prefetto di Venezia Lepri Gallerano: una vicenda che ha visto la Lega veneziana dare una pessima prova di sè.



C’è infine un elemento che "lega" Zaia e Orsoni. E riguarda il futuro prossimo. Entrambi hanno ottenuto un mandato forte dagli elettori, ma si trovano di fronte a sfide di governo impegnative e tutt'altro che esenti da incognite. Il neo-sindaco di Venezia è alla guida di una coalizione ampia ed assai eterogena che dall'Udc arriva sino a Rifondazione. Grazie ad essa ha vinto, ma adesso dovrà evitare di rimanere vittima dei veti incrociati. La "sindrome Prodi" è dietro l'angolo e, sin dalle scelte per la formazione della giunta, Orsoni dovrà affermare la propria leadership e dimostrare, con i fatti, che la sua maggioranza è capace non solo di vincere le elezioni, ma anche di governare. Non sarà semplice.



La formazione della giunta sarà fonte di più di un grattacapo anche per Zaia: governare il nervosismo di un Pdl indebolito e frustrato dall'esito elettorale imporrà al neo-governatore un paziente lavoro di tessitura. Ma il fronte più impegnativo per Zaia è un altro: quello delle riforme. Nelle scorse settimane l'ormai ex ministro dell'Agricoltura ha dichiarato, senza mezzi termini, di non chiedere voti per costruire semplicemente nuove strade o nuovi ospedali, ma per cambiare il Veneto, con robuste iniezioni di autonomia e federalismo fiscale. Gli elettori gli hanno assegnato oltre il 60% dei voti. Non gli è permesso fallire e deludere le aspettative.
Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 10:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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