Cartabia, scossone sulla giustizia: ministra acquisisce atti di due vicende che hanno fatto emergere dubbi sul sistema

Mercoledì 16 Giugno 2021 di Valentina Errante
Cartabia, scossone sulla giustizia: ministra acquisisce atti di due vicende che hanno fatto sorgere dubbi sul sistema

«Accertamenti preliminari, al fine di una corretta ricostruzione dei fatti, attraverso l'acquisizione degli atti necessari». Il ministro della Giustizia Marta Cartabia scende in campo.

I due fronti aperti, che nelle ultime settimane hanno tenuto banco tra polemiche e colpi di scena, sono quelli di Milano-Brescia e Verbania. Le deleghe firmate dal Guardasigilli al capo degli ispettori Maria Rosaria Covelli, già presidente del Tribunale di Viterbo, prevedono una prima ricognizione per stabilire cosa sia accaduto. Da un lato, a Verbania, dove gli avvocati delle difese, valutano anche se chiedere il trasferimento dell'inchiesta in un'altra sede per «legittima suspicione», dall'altro la bufera che sta travolgendo la procura di Milano, con due magistrati accusati dai colleghi di Brescia di avere ignorato prove a favore degli imputati nel processo Eni-Nigeria. Anzi di avere fondato un intero procedimento su una testimonianza inattendibile. Al momento gli ispettori acquisiranno solo atti. Chiederanno ai vertici degli uffici relazioni, ma, se dovessero emergere elementi di rilevante gravità, gli ispettori di via Arenula potrebbero anche decidere di sentire i protagonisti delle due vicende. Poi stabilire se si profilino illeciti disciplinari.

La funivia

Il giudice garantista silurato dopo il "no" ai fermi della Procura

La pratica è già stata aperta dalla VII commissione del Csm e adesso anche il ministero della Giustizia ha chiesto all'ispettorato di procedere con accertamenti preliminari. Il ministro Marta Cartabia vuole stabilire se la sostituzione del capo dei gip di Verbania, che aveva disposto le scarcerazioni di due dei tre indagati per l'incidente della funivia del Mottarone, sia stata legittima. La scorsa settimana, il presidente del Tribunale, Luigi Montefusco, ha riassegnato il fascicolo sull'incidente della funivia, nel quale il 23 maggio hanno perso la vita 14 persone, al gip Elena Ceriotti, titolare per tabella del ruolo, rientrata il 31 maggio da un periodo di esonero dalle funzioni. Una decisione che ha suscitato non poche polemiche, fino ad arrivare al Csm. Il procedimento era stato assunto dal presidente dell'ufficio gip, Donatella Banci Buonamici, supplente per la convalida del fermo, che ha bocciato il provvedimento, rimesso in libertà Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, e disposto i domiciliari per Gabriele Tadini. Una decisione impugnata al Riesame dal procuratore Olimpia Bossi. Per l'Unione camere penali, che ha disposto due giorni di astensione per protesta, è stata una pesante e illegittima ingerenza, dovuta alle pressioni del procuratore. E ora come prima mossa gli ispettori di via Arenula acquisiranno gli atti.

L'ORDINANZA
Montefusco aveva trasmesso la sua ordinanza con i rilievi a Banci Buonamici anche al Presidente della Corte d'Appello, al Procuratore Generale e al Consiglio giudiziario di Torino, che formula i pareri sull'attività delle toghe. «Il giudice assegnatario del procedimento - si legge - si sarebbe dovuto individuare, in caso di assenza o impedimento del gip titolare, in via gradata tra gli altri giudici dell'ufficio, escludendo il presidente Donatella Banci Buonamici». E ancora: «Tale assegnazione, se giustificata per la convalida del fermo, non è conforme alle regole di distribuzione degli affari e ai criteri di sostituzione dei magistrati dell'ufficio gip-gup». Così se Montefusco aveva investito il consiglio giudiziario per «le valutazioni di competenza» nei confronti del capo dei gip, con l'ipotesi di trasmettere la questione al Csm, proprio Palazzo dei Marescialli, e adesso anche via Arenula, vogliono chiarire se proprio la decisione di Montefusco fosse legittima.

Il caso Nigeria

Quelle prove nascoste dai pm (ora indagati) per accusare Eni

Adesso gli ispettori di via Arenula esamineranno tutti gli atti, per ricostruire i passaggi dell'ultima bufera che ha investito la procura di Milano e che ha portato all'iscrizione per rifiuto di atti d'ufficio dell'aggiunto Fabio De Pasquale e del pm Sergio Spadaro, titolari del fascicolo Eni-Nigeria. Dalla sentenza del tribunale, che lo scorso marzo ha assolto tutti gli imputati, a una relazione del procuratore di Brescia Francesco Prete sui verbali del pm milanese Paolo Storari, che ha dichiarato (allegando i documenti) di avere sommerso di email i colleghi De Pasquale e Spadaro, perquisiti alcuni giorni fa, per segnalare che il grande accusatore, Vincenzo Armanna, era inattendibile. Poi la nota del 5 marzo, trasmessa da De Pasquale e Spadaro, al procuratore Francesco Greco, nella quale i due pm spiegavano di non volere utilizzare le chat trasmesse da Storari. In una di quelle conversazioni Armanna, ex manager licenziato da Eni, chiedeva a un poliziotto nigeriano, che non aveva confermato le accuse a carico degli imputati in aula, la restituzione di 50mila euro. Tra gli atti che finiranno agli ispettori per ricostruire cosa sia accaduto e se ci siano gli estremi per promuovere l'azione disciplinare, c'è anche la nota che il presidente del collegio della settima sezione penale, Marco Tremolada, ha allegato alla sentenza Eni-Nigeria.

Nell'atto, scritto da Tremolada in autotutela, il presidente del collegio stigmatizzava l'iniziativa portata avanti nel corso del processo dai due pm, che chiesero di far entrare come teste nel dibattimento Piero Amara, l'avvocato di Siracusa protagonista di scandali e veleni. Senza, però, informare i giudici sul fatto che nel frattempo era stato inoltrato ai colleghi bresciani, a inizio 2020, un passaggio di un verbale dello stesso Amara, che gettava gravi ombre su Tremolada. Un procedimento finito con l'archiviazione. Il procuratore di Brescia Francesco Prete riferirà nella sua relazione agli ispettori anche in merito al video sequestrato che i pm milanesi, nell'ipotesi accusatoria, avrebbero nascosto al Tribunale. Sono immagini catturate clandestinamente, nel luglio 2014, proprio da Amara, nelle quali, sempre Armanna ammette di voler screditare i vertici Eni, poi finiti a processo proprio sulla base delle dichiarazioni dell'ex manager.

Ultimo aggiornamento: 09:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA