Il capo impianto crolla: «Ho bloccato il freno per azionare la funivia», tre arresti

Giovedì 27 Maggio 2021 di Claudia Guasco
Il capo impianto crolla: «Ho bloccato il freno per azionare la funivia», tre arresti

dal nostro inviato

VERBANIA Martedì, all’ora del tramonto sul lago, i dipendenti della “Ferrovie del Mottarone” si presentano alla spicciolata, convocati nella caserma dei carabinieri di Stresa. A due giorni dalla sciagura della funivia, costata la vita a quattordici persone, gli inquirenti sono giunti alla conclusione che dietro al mancato funzionamento dei freni di emergenza  non c’è un guasto tecnico ma un intervento umano. A quel punto è necessario che qualcuno, tra gli addetti della società che gestisce l’impianto, lo confermi. Lo fa Gabriele Tadini, 63 anni, caposervizio della struttura e coordinatore del personale.

In pratica, il vice dell’amministratore unico Luigi Nerini all’interno dell’azienda.


IL VERBALE
Tadini dapprima fa da scudo e si assume tutte le responsabilità. «È solo colpa mia, gli altri non c’entrano. Quel blocco ai freni di emergenza c’era da un mese e l’ho fatto mettere io. La cabina aveva problemi da un mese e mezzo e per cercare di risolverli sono stati effettuati almeno due interventi tecnici», dice agli investigatori. Che non si accontentano. Scavano, insistono.

«La preoccupazione era il fermo della funivia. Stavamo studiando quale poteva essere la soluzione per risolvere il problema», si sbilancia Tadini. E così, riferiscono dal fronte investigativo, «da una parola a un’altra, emerge che anche le figure apicali della società lo sapevano e avevano approvato». Per soldi. Alla fine non serve nemmeno ascoltare Enrico Perocchio, 51 anni, biellese, consulente esterno con l’incarico di direttore di esercizio, né Luigi Nerini.

Tadini parla per oltre quattro ore, riempie numerose pagine di verbale ed è l’unico a essere interrogato dai carabinieri. Le sue ammissioni sono sufficienti per emettere tre fermi: alle quattro del mattino Nerini, Tadini e Perocchio vengono portati nel carcere di Pallanza. Le accuse nei loro confronti sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime. Il responsabile del funzionamento della funivia «è sereno ed essendo un cattolico fervente sta cercando conforto nella fede», fa sapere l’avvocato Marcello Perillo, difensore di Tadini, che è andato a trovarlo.

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I tre confidavano nella buona sorte, sicuri che un evento come la rottura di un cavo fosse pressoché impossibile. E la bella stagione, con tanti turisti in coda alla partenza dell’impianto al Lido, li ha resi spavaldi e avidi. Ventitré corse al giorno, quindici passeggeri a cabina, 20 euro a persona. Disattivare il freno d’emergenza per evitare che la funivia si fermasse ogni piè sospinto valeva il business. «E’ stata un’omissione consapevole, una scelta deliberata», stigmatizza il capo della Procura di Verbania, Olimpia Bossi. Del resto per Tadini negare era impossibile, considerato che un’immagine della cabina distrutta mostra un forchettone inserito in un freno di emergenza. L’altro è stato trovato ieri nel bosco durante il sopralluogo sotto una lamiera della cabina, nella caduta da venti metri d’altezza è saltato via, e il repertamento suffraga l’ammissione di Tadini che ha detto di avere innescato entrambi i blocchi.

«Da un primo esame il sistema ci sembrava manomesso e infatti era così - afferma il procuratore -. L’inserimento del forchettone è stato motivato dall’esigenza di evitare continui disservizi e lo stop della funivia. Erano stati fatti degli interventi di manutenzione che però non avevano risolto del tutto i problemi. L’impianto evidentemente aveva delle anomalie che avrebbero richiesto interventi più sostanziosi, tali da tenere ferma la funivia».

 


VERSIONI CONTRASTANTI
Ma la riapertura il 26 maggio, dopo mesi di lockdown, e il numero di posti contingentati causa Covid imponeva una scelta: guadagnare di più o garantire la sicurezza dei passeggeri. L’abbaglio del denaro è stato più forte, perciò secondo i pm i gestori hanno innescato i forchettoni che disattivano il freno di emergenza. Mentre il fronte degli accusati si sgretola. Tadini ammette, Perocchio tramite il suo avvocato si dichiara indignato e smentisce la sua versione.

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«L’ingegnere, durante la sua lunga carriere professionale, ha sempre osteggiato tale pratica, che può essere attivata esclusivamente in fase di installazione e comunque solo con le cabine vuote», dichiara il suo difensore Andrea Da Prato. «Nemmeno gli addetti ai lavori possono trovarsi nella cabine, il peso dei passeggeri viene simulato con taniche d’acqua. Le pinze sono colorate, proprio per balzare all’occhio quando sono montate». Perocchio, dunque, «sconfessa la deposizione» fatta da Gabriele Tadini. Il legale riavvolge il nastro: «Il mio cliente ha appreso della possibile presenza dei forchettoni da una brevissima e concitata telefonata fatta da Tadini domenica alle ore 12.09.

Tadini ha detto: “Ho una fune a terra e ho i ceppi su”. L’ingegnere a questo punto capisce che parla delle pinze, ma - incredulo di apprendere come si possa attivare l’impianto in queste condizioni - non ha neanche il tempo di rispondere che la telefonata finisce. A questo punto sale in macchina e si reca al luogo dell’incidente». Ma la strage è compiuta e Nerini per ora tace.

Ultimo aggiornamento: 28 Maggio, 10:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA