«Se il figlio è troppo pigro niente obbligo di assegno»: la linea della Cassazione

Venerdì 16 Luglio 2021 di Michela Allegri
«Se il figlio è troppo pigro niente obbligo di assegno»: la linea della Cassazione

Il figlio maggiorenne non studia e non lavora, rifiutando anche di rilevare l'attività di famiglia. E per questo motivo il padre decide di revocare il mantenimento a suo carico. Una decisione pienamente legittima, secondo la Corte di Cassazione: i figli, per avere diritto anche in maggiore età a ottenere i soldi dei genitori, devono dimostrare di essersi impegnati nello studio e nella ricerca di un impiego che li possa rendere indipendenti anche in misura minima.

Il mantenimento, infatti, deve avere un valore educativo e non può essere dato per scontato: deve essere uno strumento inserito in un progetto più ampio, da sfruttare a livello formativo, per riuscire ad inserirsi gradualmente nella società e nel mondo del lavoro.

In questo caso, con la sentenza depositata dai supremi giudici lo scorso 2 luglio, è stata confermata la decisione presa dalla Corte d'appello di Messina. Protagonista, una ventiseienne poco incline allo studio che aveva rifiutato un incarico sicuro: occuparsi del locale di famiglia, fino a quel momento gestito dal padre e dallo zio. Un atteggiamento che, secondo i giudici, è indice del poco impegno nel conquistarsi un'indipendenza economica, nonostante il raggiungimento dell'età adulta. La Corte d'appello aveva accolto il reclamo del genitore: nel revocare l'obbligo di corrispondere l'assegno di divorzio alla ex moglie, che aveva ormai instaurato una nuova relazione con una convivenza stabile, i giudici avevano decretato anche lo stop dei contributi dovuti dal genitore per la figlia, «attesa l'età avanzata e l'indiscutibile scarsa propensione agli studi, nonché l'altrettanto poco volenteroso impegno nel proseguire l'attività commerciale che padre e zio avevano prospettato», si legge nella sentenza.

Il ricorso

A presentare ricorso contro la decisione era stata la madre della giovane, che aveva lamentato la violazione della legge relativa al mantenimento dei figli maggiorenni, sostenendo che i magistrati non avessero svolto verifiche adeguate in relazione ai tentativi della figlia di trovare un impiego. Niente da fare: per gli ermellini, mancherebbe del tutto un «progetto formativo», visto che il mantenimento dovrebbe avere un valore educativo e non dovrebbe avere una funzione «assistenziale incondizionata dei figli disoccupati, di contenuto e durata illimitati». L'obbligo del mantenimento viene infatti meno quando la mancata indipendenza economica è frutto di inerzia e poco impegno.

L'orientamento

Non si tratta della prima decisione di questo tenore, ma la sentenza è importante perché conferma una vera e propria svolta nell'orientamento della Cassazione. Una svolta sulla quale, soprattutto nell'ultimo periodo, potrebbe avere pesato anche la difficile situazione economica e occupazionale provocata dalla pandemia. «Negli ultimi due anni e, in particolare, con l'avvento della pandemia e la conseguente crisi economica ed occupazione - spiega l'avvocato Marco Meliti - la Cassazione ha operato un mutamento di rotta. È tramontata la funzione assistenziale incondizionata dell'assegno di mantenimento in favore dei giovani disoccupati, sostituita da un principio di autoresponsabilità del figlio maggiorenne. Per godere di un assegno di mantenimento, il figlio non solo dovrà dimostrare di portare avanti gli studi con impegno, o di impegnarsi nella ricerca di un lavoro, ma dovrà essere anche pronto a ridimensionare le proprie aspirazioni in relazione alle reali opportunità che offre il mercato, senza temporeggiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni. Un cambiamento di prospettiva significativo, soprattutto ora che l'orizzonte occupazionale appare incerto».
 

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