«Io avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito.
IL BIVIO
Purtroppo le cure non hanno funzionato e i medici hanno spiegato ad Elena che la situazione sarebbe divenuta sempre più pesante. «Mi sono trovata davanti ad un bivio. Una strada più lunga che mi avrebbe portato all’inferno, una più breve che poteva portarmi qui in Svizzera, a Basilea: ho scelto la seconda». Ieri mattina, raccontano all’associazione Luca Coscioni, per i suoi ultimi istanti di vita, ha chiesto di ascoltare Ballade pour Adeline, di Richard Clayderman. Quando per la prima volta aveva manifestato pubblicamente la sua volontà di ricorrere al suicidio assistito, per ragioni di privacy aveva indicato, come nome di fantasia, proprio Adeline. Poiché in Italia la scelta di Elena non sarebbe stata consentita e poiché non voleva che la figlia e il marito avessero poi guai di tipo giudiziario, ha chiesto aiuto a Cappato. Oggi l’ex parlamentare europeo andrà ad autodenunciarsi. Si presenterà alle 11 nella stazione dei carabinieri in via Fosse Ardeatine 4, a Milano. Ricordano all’associazione Luca Coscioni: «Per Cappato si tratta di una nuova disobbedienza civile, dal momento che la persona accompagnata non è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, quindi non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato-Dj Fabo per l’accesso alla tecnica in Italia. Nel nostro Paese, infatti, proprio grazie alla disobbedienza civile di Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani, il suicidio assistito è possibile e legale in determinate condizioni della persona malata che ne fa richiesta: persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale». Il caso di Elena non rientra tra quelli indicati dalla Corte costituzionale, per questo motivo Cappato rischia fino a 12 anni di carcere per l’accusa di aiuto al suicidio.
Restano le parole di Elena, che risuonano nel videomessaggio: «Sono sempre stata convinta che ogni persona debba decidere sulla propria vita e debba farlo anche sulla propria fine, senza costrizioni, senza imposizioni, liberamente, e credo di averlo fatto, dopo averci pensato parecchio, mettendo anche in atto convinzioni che avevo anche prima della malattia». Ancora: «Ho deciso di terminare la mia vita prima che fosse stata la malattia, in maniera più dolorosa, a farlo. Io ho parlato con la mia famiglia, ho avuto la comprensione e sostegno». La vicenda di Elena scuote le coscienze perché nel video appare come una donna lucida e autonoma, anche se, come fa notare in una nota l’Associazione Luca Coscioni, «un’attesa ulteriore avrebbe potuto determinare altre sofferenze e peggioramenti vista la progressione della malattia già in fase avanzata».
GLI ALTRI CASI
Ma ci sono state altre storie, nelle ultime settimane, a richiedere una riflessione su questo tema così drammatico e divisivo. Stefano Gheller, 49 anni di Cassola (Vicenza), è affetto dalla nascita da una grave forma di distrofia muscolare. Ha chiesto di attivare con urgenza la procedura prevista per l’accesso legale al suicidio medicalmente assistito anche se ha chiarito: «Io non desidero morire in questo istante, ma voglio avere il diritto di farlo appena sentirò che è arrivato il momento». Federico “Mario” Carboni poche settimane fa è stato accompagnato ad una «dolce morte» dopo aver ottenuto il via libera dal Comitato etico dell’Azienda sanitaria delle Marche. Antonio, 44 anni, tetraplegico dal 2014, secondo la Commissione medica «possiede tutti i requisiti per accedere al suicidio assistito», manca il parere sul tipo di farmaco da utilizzare.