«Ero andato a fare la doccia, mi sono sentito braccato da dietro, scaraventato contro il muro e poi per terra. Sono svenuto e mi sono risvegliato pieno di sangue». Un paravento bianco, nell'aula del Tribunale di Roma, separa la vittima dall'imputato. Sono trascorsi cinque anni da quei fatti terribili, non abbastanza da permettere a Mario (il nome è di fantasia) di guardare in faccia il suo aguzzino, che è accusato di averlo stuprato e picchiato in carcere a Rebibbia nell'agosto del 2018 e di avergli provocato danni permanenti.
I FATTI
L'imputato, presente in aula e accusato di violenza sessuale e lesioni, ascolta il racconto della vittima.
LO STUPRO
«Io la sera dopo le 21 ero andato a fare la doccia, mi sono sentito braccato, scaraventato contro il muro e poi per terra. Sono svenuto e mi sono risvegliato pieno di sangue. Le docce erano nella cella, eravamo solo noi due. C'era questo telo per non far uscire l'acqua e mi ha preso con quello». E ancora: «Con tutte le forze ho cercato di bagnarmi con l'acqua fredda e recuperare le forze. La doccia era ancora aperta, mi sono subito messo dentro perché ero sporco. Suonavo il campanello di allarme ma non è arrivato nessuno, come spesso accadeva. Dopo aver ripulito tutto e aver conservato della carta sporca tra i miei vestiti (che ha poi consegnato agli inquirenti dopo la denuncia), mi sono messo con l'accappatoio a letto. Penso di essere svenuto per i dolori lancinanti. Ero pieno di ematomi».
Mario il giorno dopo non ha denunciato l'accaduto, si è limitato a farsi dare degli antidolorifici dal vicino di cella e, in aula, ha spiegato: «Mi vergognavo, avevo paura di diventare lo zimbello di tutti e che se gli altri detenuti lo avessero saputo mi avrebbero ucciso».
IL PESTAGGIO
Dopo tre giorni dall'aggressione, il 27 agosto, Mario si è accorto che dal suo armadietto erano sparite delle cose che aveva acquistato, dopo aver chiesto se gli avessero fatto uno scherzo, ha cercato i suoi effetti nell'armadietto di C. e li ha trovati. A quel punto l'imputato è entrato ed è andato a dire agli ispettori che era stato derubato. «Dopo questo episodio racconta la vittima - io l'ho fermato in corridoio e gli ho detto che era il caso di parlare e lui con un atteggiamento arrogante mi ha liquidato».
È iniziato così il racconto della seconda violenta aggressione, avvenuta davanti agli occhi di tutti. «La sera è arrivato con un pugnale per accoltellarmi alle spalle, è stato disarmato dagli altri detenuti. Dopo qualche minuto, è tornato con una caffettiera enorme avvolta dentro una maglia elastica nera e ha iniziato a colpirmi ovunque. Gli altri, che si sono messi in mezzo, sono stati colpiti anche loro. Sono finito in infermeria e non ho più capito niente».
Dopo pochi giorni da questo secondo episodio Mario è stato trasferito nel carcere di Velletri e lì ha deciso di denunciare e farsi visitare. Danni fisici permanenti all'udito e lesioni alla colonna vertebrale e alla cervicale sono il risultato delle aggressioni, per non parlare di quelli psicologici.
«Io ho fatto tanti reati ma mai una violenza, neanche verbale. Voglio essere punito solo per i fatti che ho commesso», ha dichiarato l'imputato.