Suicidio Simona Viceconte, il marito Luca Amprino assolto a Teramo: «Vita rovinata alle mie figlie»

La donna si uccise come aveva fatto un anno prima la sorella Maura, campionessa di atletica.

Sabato 5 Febbraio 2022 di Teodoro Poeta
Suicidio di Simona Viceconte, il marito assolto dall'accusa di istigazione: «Vita rovinata alle mie figlie»

Simona Viceconte si uccise come aveva fatto un anno prima la sorella Maura, campionessa di atletica. Ma il marito non ha responsabilità e, dopo due anni di dolore e aule di Tribunale, ha deciso di rompere il silenzio e raccontare il suo calvario. «La nostra vita è cambiata per sempre» dice il bancario torinese 54enne Luca Amprino, assolto dall’accusa di aver maltrattato psicologicamente la moglie Simona Viceconte, 45 anni, originaria della Val di Susa, che il 13 febbraio del 2020 commise suicidio impiccandosi con un foulard alla ringhiera della tromba delle scale della palazzina dove viveva con la famiglia a Teramo.

Amprino parla per la prima volta e racconta i due anni trascorsi a dover fare da padre e da madre alle due figlie. E a difendersi da un’accusa pesante - maltrattamenti psicologici - orribile e, oggi, alla luce della sentenza, anche ingiusta.


Come ha reagito quando il suo difensore l’ha chiamata al telefono subito dopo la lettura della sentenza? 
«Ho avuto un pianto liberatorio. La verità è che per due anni non ho potuto elaborare il lutto per la morte di mia moglie e stare come avrei voluto con le mie figlie». 


Due ragazze che, nel frattempo, sono cresciute. Una è anche diventata maggiorenne. A loro cosa ha detto? 
«Semplicemente è finito tutto, dopodiché non c’è stato bisogno di aggiungere altro anche perché loro hanno glissato».


Da oggi per voi tre inizia un nuovo capitolo dopo tutta questa sofferenza?
«Assolutamente no. Non c’è un altro capitolo per noi. La vita va avanti così e noi restiamo uniti».

 
L’assoluzione è arrivata dopo tre udienze con la scelta del rito abbreviato condizionato alla sua escussione. Se l’aspettava o piuttosto lo sperava? 
«In realtà questa situazione non sarebbe mai dovuta iniziare. Simona aveva chiesto proprio questo nella lettera che aveva lasciato. Ha fatto la sua scelta, non condivisa, ma accettata. Non ci saremmo mai aspettati un’azione del genere».


Dopo il suicidio, nella sua borsa, in casa, gli investigatori ritrovarono subito una lettera che Simona aveva scritto e nella quale spiegava le motivazioni di quell’estremo gesto senza addossare responsabilità al marito, chiedendo anche scusa alle figlie. Come mai, allora, ci sono state persone che dopo il suicidio di Simona si sono presentate anche spontaneamente in procura per raccontare situazioni verosimilmente false? 
«Questo bisognerebbe chiederlo a loro. Io so che quelle persone non le conoscevo, ma ce ne sono state altre, a noi molto vicine, che si sono schierate contro. Addirittura quando tempo fa siamo tornati a Teramo, siamo ripartiti con un giorno di anticipo perché la sera precedente le mamme dei vecchi compagni di classe di mia figlia più piccola non hanno portato i bambini con noi a mangiare la pizza».


Cosa, oggi, le fa più male di tutta questa vicenda? 
«Ho capito che nessuno si è mai posto il problema di due bambine che sono rimaste senza una madre, da crescere, di un padre che deve fare loro anche da madre. Ci sono persone a noi sconosciute che si sono permesse di infangare me, ma soprattutto le mie figlie che erano entrambe minori».


Cosa aveva scritto Simona nella sua lettera? 
«Ha parlato di me. Ma ormai oggi è tutto chiaro. Io però non perdonerò a nessuno di aver messo in mezzo le bambine. Loro dovevano continuare ad andare avanti con il ricordo che avevano della mamma e non con quello che è uscito di Simona. Le bambine, loro malgrado, hanno dovuto anche sostenere un incidente probatorio in fase di indagini preliminari».


Lei, Amprino, è stato difeso con forza dalle sue figlie.
«Sì, siamo una famiglia».


Accanto ad Amprino sono sempre rimasti i suoi legali, gli avvocati Antonietta Ciarrocchi e Cataldo Mariano. 
«Mi hanno guidato bene e hanno fatto un lavoro eccezionale».

 
Le motivazioni della sentenza si conosceranno tra novanta giorni, ma non è detto che la procura di Teramo, che nei suoi confronti aveva chiesto una condanna a 10 anni (pm Enrica Medori), non faccia appello. Intanto resta l’assoluzione del gip Lorenzo Prudenzano perché «il fatto non sussiste». E in casa Amprino si può iniziare a respirare un barlume di serenità e molto, lo dice lo stesso Amprino, lo si deve alla scelta di una strategia difensiva che «ha messo al riparo il più possibile le mie figlie, allora entrambe minori».


«Considerata la gravità della pena e la risonanza mediatica del caso che ha avuto in questi anni, la scelta del rito abbreviato condizionato all’escussione dell’imputato è stata ritenuta la scelta migliore, anche per fare terminare tutto prima», spiega l’avvocatessa Ciarrocchi.
 

Ultimo aggiornamento: 14:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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