Serena Mollicone, l'investigatore in aula: «Così l'ex maresciallo Mottola depistò le indagini»

Sabato 11 Dicembre 2021 di Vincenzo Caramadre e Pierfederico Pernarella
Serena Mollicone, l'investigatore in aula: «Così l'ex maresciallo Mottola depistò le indagini»
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«L’ex comandante dei carabinieri di Arce Franco Mottola depistò le indagini sull’omicidio di Serena Mollicone». Ne è convinta l’accusa e ieri nell’aula di Corte d’Assise di Cassino lo ha confermato il luogotenente Massimo Polletta, investigatore dell’Arma che si è occupato dell’inchiesta che ha portato a processo per l’omicidio della ragazza di Arce, oltre al maresciallo Mottola, il figlio Marco, la moglie Anna Maria, il luogotenente Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano, quest’ultimo accusato di favoreggiamento.

Il luogotenente Polletta ha ricostruito la primissima fase delle indagini, quando scattò l’allarme per la scomparsa di Serena. Era il 1° giugno 2001. Secondo il carabiniere in quei momenti il maresciallo Mottola, approfittando della sua posizione di comando, indirizzò le ricerche e i successivi accertamenti su una serie di false piste, compromettendo approfondimenti utili a trovare la verità. In particolare, secondo il luogotenente, il maresciallo

Mottola collocò l’avvistamento di Serena Mollicone nel pomeriggio del 1° giugno 2001 di fronte a un bar non molto distante da Arce. «In realtà - ha riferito l’investigatore - secondo alcuni testimoni la ragazza, insieme a un coetaneo, si trovava in quel posto al mattino. Ecco perché non vennero cercate tracce delle celle telefoniche nella zona dell’avvistamento. Ciò ha provocato un grave danno alle indagini».

 

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Un altro depistaggio sarebbe stato messo in atto con la segnalazione dell’auto su cui Serena era stata vista andare via dal bar. Le prime ricerche si concentrarono su una Lancia Y di colore rosso, quando invece i testimoni avrebbero parlato di una Y10 di colore bianco, modello e colore di auto che all’epoca dei fatti era in uso a Marco Mottola, il figlio del maresciallo.

Ordini di servizio falsificati

Il luogotenente dei carabinieri si è poi soffermato su un altro dei principali punti dell’accusa: le confessioni del brigadiere Santino Tuzi, morto suicida nel 2008 dopo le rivelazioni choc. «Tuzi – ha detto il testimone – non disse solo di aver visto Serena entrare caserma, aggiunse anche che quel giorno, in caserma, c’erano lui e il collega Vincenzo Quatrale». Circostanza confermata, ha detto il teste, anche dal fatto che Tuzi e Quatrale avrebbero falsificato gli ordini di servizio in modo da far figurare che quella mattina non si trovassero in caserma.

E che l’omicidio di Serena sia avvenuto in uno degli alloggi attigui alla caserma, e in uso alla famiglia Mottola, sarebbe provato da un altro particolare emerso ieri nin udienza: la vernice trovata sui capelli della ragazza, stando ad analisi scientifiche, sarebbe compatibile con quella di una caldaia dell’appartamento in cui secondo l’accusa è avvenuto il delitto.

Le indagini sulla famiglia Mottola e i carabinieri andavano avanti da anni. Gli investigatori provarono anche ad intercettare gli indagati, ma con insuccesso. Nell’auto di Quatrale venne installata una cimice, ma la microspia venne trovata quattro giorni dopo mentre l’indagato si trovava nel piazzale antistante l’ex caserma dei carabinieri di Cassino. Per tale ragione la cimice due settimane dopo venne disattivata.

Episodio singolare avvenne anche con il maresciallo Mottola. «Per mettere una cimice nella sua auto utilizzammo l’escamotage di invitarlo in caserma a Teano (paese di origine di Mottola, ndr) - ha raccontato ieri il luogotenente Polletta - Ma improvvisamente Mottola uscì e colse sul fatto i colleghi e i tecnici che stavano montando la microspia».

Ultimo aggiornamento: 13 Dicembre, 10:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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