Pamela Mastropietro, chiesto l'ergastolo per Oseghale: «Uccisa perché voleva fuggire»

Mercoledì 8 Maggio 2019
Pamela Mastropietro
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Pamela Mastropietro, la ragazza romana fatta a pezzi a Macerata il 30 gennaio 2018, è stata uccisa perché «voleva fuggire, perché voleva sottrarsi a Oseghale». E la Procura di Macerata ha chiesto la condanna all'ergastolo per Innocent Oseghale, 30enne pusher nigeriano accusato di aver stuprato, ucciso a coltellate e poi smembrato il corpo della 18enne romana, dopo che quest'ultima aveva assunto eroina.

Oltre all'ergastolo, il procuratore Giovanni Giorgio ha sollecitato anche un aggravamento di pena di 9 anni e 3 mesi per lo smembramento e l'occultamento del cadavere, e l'applicazione dell'isolamento diurno per 18 mesi.

La famiglia di Pamela: chiesto il massimo della pena, siamo soddisfatti. «La richiesta di pena è quella massima, ergastolo con isolamento diurno e a scalare tutte le altre ipotesi. È quella che ci aspettavamo, siamo soddisfatti e anche noi ci assoceremo doverosamente a questa richiesta». Lo ha detto l'avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia Mastropietro, in una pausa dell'udienza al termine della requisitoria del procuratore di Macerata Giovanni Giorgio.



Pamela «prima di essere uccisa, è stata costretta a subire violenza sessuale e l'autore di questa violenza è stato Innocent Oseghale». Lo ha detto il sostituto procuratore Stefania Ciccioli nella requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata nel processo che vede imputato Innocent Oseghale con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi la ragazza romana a Macerata.   «Oseghale ha compiuto atti sessuali senza il consenso di Pamela che si trovava in quel momento sotto effetto di sostanza stupefacente e non ha mai potuto esprimere un valido consenso a intrattenersi sessualmente con la persona che aveva davanti - ha detto il pm - È stata uccisa perché ha voluto sottrarsi a tutto quello che stava capitando nell'abitazione di Oseghale». Secondo il sostituto procuratore il fatto stesso che ci sia stata una «estrema accuratezza» nel lavare il cadavere con la candeggina va «interpretato come univoco segno di interesse a cancellare tracce di rapporti sessuali», anche se come ricordato sono state trovate comunque trovate tracce di dna dell'imputato, e sempre con il fine di nascondere rapporti si spiega secondo l'accusa «l'asportazione dei genitali».

Sono state le due coltellate di Oseghale», ha ribadito il sostituto procuratore Stefania Ciccioli nella requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata nel processo che vede imputato Innocent Oseghale con l'accusa di aver stuprato, ucciso e fatto a pezzi la ragazza romana.
 


Il sostituto procuratore Ciccioli ha ricostruito i fatti a partire dal momento in cui i resti sono stati ritrovati chiusi in due trolley a Pollenza. Ricordando l'esito degli accertamenti dei consulenti dell'accusa, il medico legale Mariano Cingolani e il tossicologo Rino Froldi, il sostituto procuratore ha osservato che «la morte di Pamela è avvenuta per le due ferite penetranti alla sede basale emitoracica destra dovendosi escludere l'overdose». In base agli esami tossicologici «Pamela era sì, nel momento della morte, sotto effetto di oppiacei» ma i dati rilevati «non sono coerenti con un'overdose».

GLI ESAMI
I consulenti dell'accusa hanno scritto nella loro relazione, ha ricordato Ciccioli, che le due coltellate al fegato sono state inferte quando Pamela era viva e la «lesività ha svolto un ruolo nel determinismo della morte».  «La vittima, quando ancora era in vita, - ha detto Ciccioli - è stata attinta alla base del torace a destra da almeno due colpi di arma da punta e taglio». La vitalità delle ferite ossia il fatto che siano state cagionate a Pamela da viva in una zona idonea a provocare un'emorragia tale da causare la morte, secondo il sostituto procuratore, è confermata a più livelli e da più esami.

 Sul fatto che le ferite al fegato sono state inferte a Pamela da viva, secondo l'accusa, ci sono dunque «univoci risultati rispetto a tutti i test eseguiti: macroscopici, microscopici e istochimici». Le due ferite al fegato «hanno determinato la morte», ha continuato Ciccioli sulla base delle stesse valutazioni dei medici legali dell'accusa e di parte civile. Passando poi agli esiti degli esami tossicologici, ha ricordato Ciccioli, «l'overdose si deve escludere categoricamente. Non c'è stata overdose né nel senso di mera intossicazione né nel senso letale ossia come causa della morte». Per l'accusa, che ha ripercorso gli esiti degli esami tossicologici, «le concentrazioni di morfina erano talmente basse da essere incompatibili con l'idea di overdose». 

Ultimo aggiornamento: 20:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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