Ndrangheta di Roma, «Pronti a fare la guerra»: colpo agli sciacalli del Covid

Il maxi-blitz di Dia e Dda: 43 gli arresti Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro i boss

Mercoledì 11 Maggio 2022 di Michela Allegri e Valeria Di Corrado
«Pronti a fare la guerra»: colpo agli sciacalli del Covid

I soldi della ‘ndrangheta riciclati nel cuore del Paese, nella Capitale, dal centro alla periferia. A Roma si era stabilita da tempo una propaggine dei clan di Reggio Calabria, che agiva con i metodi della cosche, ed erano pronti a «fare la guerra».

Violenza e minacce, armi, denaro sporco ripulito alla velocità della luce, ma anche pizzini e riunioni segrete, le «mangiate», e vere e proprie «imbasciate» - i messaggi riservatissimi - lanciate lontani da occhi indiscreti.

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Ai matrimoni e ai funerali, soprattutto, quando la famiglia si ritrovava e le liste degli invitati venivano cifrate e consegnate a mano per evitare di attirare l’attenzione. Ma anche affari impennati durante la pandemia e legami con le forze dell’ordine, che garantivano notizie riservate sulle indagini. È proprio “Propaggine” il nome della maxi-operazione della Dda di Roma e della Dia, che ha portato a 43 arresti - compresi un commercialista e un direttore di banca - sgominando un gruppo criminale radicato nel Lazio, che aveva agguantato il business della ristorazione, reinvestendo un fiume di denaro tra locali e bar, ma anche mercati all’ingrosso, come quelli ittico e dei pellami. Il linguaggio, i rapporti, i riti, erano quelli tipici della terra d’origine, dove ieri sono state arrestate altre 34 persone. Sullo sfondo, però, c’era il Colosseo, dove a regnare, per gli inquirenti, erano due boss: Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi originari di Cosoleto in provincia di Reggio Calabria.
La svolta è nel 2015, quando Carzo riceve dai vertici l’autorizzazione a «riprodurre» a Roma una cosca locale, sfruttando il terrore suscitato dal clan. Il gip Gaspare Sturzo, nelle 2.294 pagine di ordinanza, descrive «la paura di chi si è trovato sulla strada dei capi e degli associati della “locale”, che professava vicinanza alla ‘ndrangheta».


LA PANDEMIA

L’escalation imprenditoriale, per i pm Giovanni Musarò, Stefano Luciani e Francesco Minisci, è stata «impressionante». L’espansione della «locale» romana «sembrava non conoscere limiti». Iniziata nel 2015, è culminata nel 2020, quando grazie alla crisi provocata dal Covid il clan è riuscito a infiltrarsi nelle attività in difficoltà, rilevandole. Alvaro era famoso tra i suoi per essere riuscito a creare un impero: il suo nome era rimasto legato allo storico Café de Paris, in via Veneto, anche se in passato è stato assolto dall’accusa di averlo inglobato nei tentacoli delle cosche. L’ossessione dei boss era di non venire intercettati, soprattutto dopo le informazioni ricevute da un militare. La soffiata arriva da uno degli indagati, Pasquale Vitalone. Alla fine del 2017, dice a Carzo di avere saputo di un’indagine sulla ‘ndrangheta a Roma. Vitalone aveva detto che ci sarebbero stati molti arresti, di «tutti voi altri, i calabresi». Dopo avere trovato microspie in uno dei locali del clan, la prudenza, già altissima, era diventata estrema. Di affari si parlava solo in occasione di matrimoni e funerali.

 


GLI INCONTRI

Feste e lutti erano occasioni perfette per incontri «apparentemente casuali, ma frutto di accurata organizzazione». Una su tutte: il matrimonio della figlia di Alvaro. Il boss si sarebbe adoperato per «celare i nominativi degli invitati» fino all’ultimo, recapitando inviti a mano sia a Roma che in Calabria. Anche il luogo della cerimonia era rimasto nascosto fino al giorno dell’evento, annota il giudice. Era il 24 giugno 2017. Il matrimonio era stato celebrato nella Basilica SS Giovanni e Paolo di Roma, mentre il ricevimento, con 500 invitati, era stato organizzato alla “Villa dei Desideri” di Cerveteri. Un dato importante, secondo il gip: «Tale circostanza testimonia come ormai la Capitale sia l’autentico punto di riferimento di Alvaro, il centro dei suoi interessi». Un accorgimento: il tableau de mariage era stato cifrato in modo che non si vedessero nomi. L’elenco esposto nel ristorante era composto da soli numeri. Plauso per l’operazione dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Per il sindaco di Roma, Roberto Gualteri, si tratta di «un pesante colpo alla criminalità organizzata». Mentre il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, sottolinea che è stata «la più importante operazione mai fatta nella Capitale contro la ‘ndrangheta».

Ultimo aggiornamento: 18:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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