Napoli, ecco i palazzi dell'orrore: 4 pedofili arrestati e indagini a tappeto: 1180 i bimbi a rischio

Sabato 21 Novembre 2015 di Daniela De Crescenzo
Napoli, ecco i palazzi dell'orrore: 4 pedofili arrestati e indagini a tappeto: 1180 i bimbi a rischio
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Bruno la racconta così: «Nell’isolato 3 dove abitava Fortuna ci sono 32 famiglie, due bambini morti e quattro adulti arrestati per pedofilia». Bruno è Bruno Mazza, a diciotto anni era il braccio destro del boss dell’epoca, Alfredo Russo, e governava per suo conto tutte le piazze di spaccio del Parco Verde.



Adesso, a 34 anni, fa il volontario e si batte per dare una speranza ai ragazzi dell’inferno. In mezzo, tra la vita da pusher e quella da operatore sociale, ci stanno undici anni di carcere, un diploma preso in galera, una compagna e un figlio. Bruno, del pugno di case realizzato con i fondi della ricostruzione sul finire degli anni 80, conosce vita, morte e miracoli. E soprattutto sa come si diventa baby rapinatore, come si impara a sniffare e a vendere droga, come si finisce nel giro «grande» quello della camorra. È la guida giusta per scandagliare i misteri del ghetto dei ghetti, quel Parco Verde dove cocaina, violenza e sesso si fondono in un veleno letale.Il tour dello squallore parte ovviamente dall’isolato 3.







Un palazzo identico a tutti gli altri, sembra: panni stesi, giardini ricchi di rifiuti e presidiati dai guardiani dello spaccio, porticati e cemento sbreccato. Peccato che proprio qui, tra l’erba spelacchiata e i portici, sia finito il volo di Fortuna e Antonio, sei anni lei, tre anni lui. Peccato che la mamma della bambina, Domenica Guardato, sia stata coinvolta in una vicenda di soldi falsi, che il padre sia ancora in galera.



Peccato che la mamma e il papà del bambino siano stati accusati ieri di violenza carnale su una delle loro figlie, una creatura di tre anni, e che l’uomo che soccorse Fortuna sia stato arrestato un anno fa insieme alla moglie per lo stesso reato. La vittima era la figlia di dodici anni. Peccato che Fortuna sia stata ammazzata dopo aver subito violenza. Peccato che proprio qui abiti un pregiudicato per reati di droga e peccato che ancora qui, nei giardinetti della morte, si continui a spacciare. Peccato che nessuno abbia visto niente e che il padre della donna arrestata un anno fa continui a ripetere: «La bambina è malata, non sa quello che dice: mia figlia e mio genero sono innocenti». Peccato che nessuno creda alla disperazione delle vittime. I peccati sono tanti nell’inferno del Parco Verde e non tutti sono stati commessi da chi ne abita i gironi. «Io sono nato alla Sanità - racconta Bruno - Poi, ero un ragazzino, nel 1986 sono stato trasferito con la mia famiglia nel rione che era ancora in costruzione. Avevamo un contratto provvisorio, dovevamo tornare nelle nostre case, non le abbiamo mai più viste».



Ai terremotati avevano promesso il paradiso: case nuove, servizi, scuole, strutture sportive, piscine. Poi non sono state costruite nemmeno tutte le abitazioni. La stessa storia di Scampia, di Ponticelli, del rione Salicelle, di San Giovanni. Stessa storia, stesso destino, stessa gioventù bruciata. «A scuola davo fastidio, pian piano cominciai a non andarci e i professori tirarono un sospiro di sollievo», racconta Bruno. Come lui fece un altro pugno di ragazzi, i più terribili. «Eravamo in dodici, cominciammo con i furti e poi passammo alle rapine. Non avevamo molto, ma non ci spingeva la povertà, ci guidava la noia. Giornate tutte uguali da comsumare e nemmeno uno straccio di campetto dove tirare calci a un pallone. Che dovevamo fare? Ci inventammo delinquenti». La solita trafila, le prime denunce, il carcere minorile. «Quando uscii da Nisida mi chiamò il boss del rione: perché ti vuoi pigliare una palla in testa? Mettiti con noi e stai più sicuro, mi spiegò. Un anno dopo ero il suo braccio destro e governavo tutte le piazze di spaccio del Quartiere». Un’ascesa fulminante che lo portò a guadagnare fino a dieci milioni alla settimana: «Di tutti quei soldi non mi è rimasto niente - è il rimpianto di Bruno - Ho comprato abiti firmati, moto, pistole, ma la gran parte dei soldi se ne andava in cocaina, passavo le giornate a tirare con il boss». E con il boss fu arrestato alla fine degli anni Novanta: «Eravamo andati a Napoli per dare una lezione. A chi? Io non lo sapevo, dovevo solo obbedire. Ma so che si trattava di un uomo fortunato: non riuscimmo a scovarlo. Al ritorno fummo fermati: io ero armato. Finii in galera e ci restai per quasi undici anni. Russo si pentì. Io no, io mi feci il carcere. Quando entrai avevo frequentato la prima media, quando uscii avevo il diploma da ragioniere». La prigione, alla resa dei conti fu una fortuna. «Tra il 1986 e il 215 nel rione sono morti 32 ragazzi: chi per overdose, chi in un conflitto a fuoco, chi nel corso di una rapina». A cento metri dalla casa di Fortuna abitava Emanuele Petroso, ammazzato nel febbraio del 2005 da un carabiniere mentre fuggiva dopo una rapina compiuta sull’asse mediano. Poco più in là viveva Ciro Leonardo. Al funerale di Emanuele aveva giurato: io non farò la sua fine. E si era messo a lavorare. Lo aveva preso la ditta incaricata di rimettere a posto le palazzine ormai fatiscenti: cadde dall’ottavo piano e morì steso sul selciato proprio come l’amico rapinatore. Non aveva un’imbracatura, non aveva un casco, non aveva niente a proteggerlo dalla sorte bastarda. Il fratello di Bruno se ne andò mentre lui era in carcere. Overdose.



Allora anche l’ex pusher giurò: io non farò la stessa fine. Ma la galera gli era servita, lui aveva capito: salvarsi da soli è difficile. A volte non basta nemmeno fuggire dal ghetto e inventarsi un’altra vita per avere il diritto di viverla: «Trentadue amici morti sono troppi. Al parco Verde abitano 6000 persone, 1180 bambini, tutti candidati ad un futuro infame». Salvarli, ma come? «Per prima cosa, con l’aiuto dell’associazione fondata da Ferrara e Cannavaro abbiamo realizzato un campetto di calcio con l’erba sintetica. Vi pare poco? Qua è più di quello che riusciamo a sognare», dice Bruno. E non fa niente se intorno razzolano le galline, non fa niente se ci sono perfino le capre a brucare. Un po’ più avanti c’è chi lavora a costruire un altro campo. Sulla destra la Provincia ha consegnato le giostrine: sulla carta. Al Parco Verde nei fatti non sono mai arrivate. E poi c’è il sogno dei sogni, l’eden dei redenti: «Padre Maurizio Patriciello, il nostro parroco, ci ha regalato dei forni - sogna Maurizio - e c’è un progetto finanziato per far partire dei corsi da panettiere, ma l’amministrazione comunale non ci consegna gli spazi che ci sono stati destinati».



E perché? Perché in quel che resta del parco giochi che i volontari dell’associazione «Un’infanzia da vivere» vorrebbero conquistare ci vanno solitamente i tossici a consumare la dose: i giardini sono al crocevia tra due piazze di spaccio e al momento sono chiusi da un catenaccio. Tra i residui delle altalene i volontari hanno raccolto 850 siringhe: c’è voluto un anno e mezzo perché il Comune le venisse a prelevare. Perciò, non fatevi illusioni: l’inferno è l’inferno, ed è abitato da pusher e da violentatori, da assassini e da scassinatori. Il paradiso, credete ai dannati, può aspettare.
Ultimo aggiornamento: 18 Novembre, 12:17

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