Giulia Tramontano, il procuratore di Tivoli: «Il tradimento può essere una forma di sopraffazione, ma è l'uomo che deve fermarsi»

Francesco Menditto: «Prima di un'azione violenta, ci sono tanti segnali. Non bisogna avere paura di chiedere aiuto»

Lunedì 5 Giugno 2023 di Valentina Errante
Giulia Tramontano, il procuratore di Tivoli: «La gelosia o l’uomo che alza la voce: ecco quando la donna deve chiudere»

«Quando una donna si rende conto che la persona con la quale ha una relazione non le riconosce la sua autonomia e la sua libertà, che non la rispetta, si deve allertare.

Ci sono diversi livelli di sopraffazione che possono e devono destare preoccupazione, a volte è meglio andare subito via, comunque deve almeno consigliarsi e anche chiedere aiuto».

Per Francesco Menditto, procuratore di Tivoli e autore insieme Paola Di Nicola Travaglini del volume “Codice Rosso - Il contrasto alla Violenza di genere: dalle fonti sovranazionali agli strumenti applicativi”, «Prima di un femminicidio, ci sono sempre alcuni campanelli d’allarme, anche se non sempre vengono colti».

Alessandro Impagnatiello, il coltello con cui ha ucciso Giulia: il modello e quei colpi inferti al collo


La drammatica storia di Giulia è solo l’ultima in ordine di tempo, secondo lei quando una donna deve allontanarsi, capire di essere in pericolo e fermarsi?
«Non affronto casi specifici, ma, in generale, io ribalterei la domanda, perché in questo modo è come se si colpevolizzasse la vittima e non l’autore del crimine. Per la mia esperienza, derivante dall’esame di 1.200 casi all’anno da parte dei pm specializzati in questa materia, però, una donna si deve allertare quando comincia ad accorgersi che un uomo non le riconosce la sua autonomia, il suo essere persona. La gelosia è un segnale pericoloso, se l’uomo alza la voce è un altro segnale. Anche un solo schiaffo è un campanello d’allarme che non va sottovalutato fin dalla prima volta. Il controllo del telefono, della spesa, il “cosa fai”, sono tutte forme di violenza. E allora non bisogna avere timore di chiedere consigli a chi ha esperienza (a un centro antiviolenza o a un avvocato specializzato). Spesso prima di un femminicidio, al di là dei casi in cui ci sono chiari segnali di abusi, si verificano piccoli episodi significativi. La commissione parlamentare sulla violenza di genere ha esaminato oltre 200 casi e ha accertato che raramente si indagava sul contesto, sulle violenze precedenti sul perché la donna non aveva denunciato o non si era confidata. Le indagini devono ricostruire fatti, moventi e contesti, come per ogni omicidio».


Eppure dalle testimonianze di chi viveva vicino a Giulia Tramontano non è emerso che Impagnatiello avesse atteggiamenti di questo tipo.
«Posso dire che, in generale, il tradimento può essere una forma di sopraffazione. Un esperto, consiglierebbe a una donna di capire e di lasciare quell’uomo, perché ha se stesso come centro e non la riconosce come persona. Ma, ribadisco, sono in primo luogo gli uomini che devono fermarsi; così come devono intervenire gli uomini che sanno, che sono vicini al violento. Il contesto familiare e delle amiche e degli amici può aiutare la donna in difficoltà, darle consigli, non lasciarla sola. Evitiamo, però, di colpevolizzare, sforziamoci di capire che il problema è sociale e culturale, riconoscere la donna come persona con il suo pieno diritto di libertà, senza questo passaggio sarà difficile ridurre i femminicidi».

 


Pensa che sia sempre la stessa tipologia di uomo a uccidere?
«Non è facile generalizzare. Ogni uomo che commette un femminicidio ha una storia e un modo di comportarsi che consente a occhi attenti (capaci di leggere) di cogliere i segnali, a volte piccoli, di persone intrise di una cultura che non riconosce le donne come persone. Un atteggiamento che si può manifestare in molti modi, ma di fatto, pone sé al centro e pretende che la donna sia un oggetto che subisce. Molti, tra i tanti casi di cui il mio ufficio si è occupato, sembrano casi fotocopia: l’uomo maltrattante e stalkerizzante è violento, controllante, minaccia la donna di toglierle i figli. Molto simili sono anche le situazioni delle donne, che a volte non sono in grado di riconoscere la violenza e la sopraffazione che subiscono, correndo inconsapevolmente enormi i rischi, pensando che sia colpa loro o di potere e dovere aiutare gli uomini per il bene dei figli. Ma poi, nei processi per femminicidio, l’unica voce rimane quella dell’omicida, il solo che possa parlare e spesso i processi, così come i giornali, ricostruiscono la vita della vittima e non del suo assassino nel tentativo di giustificarlo, invertendo il rapporto vittima-carnefice».


Spesso chi commette un femminicidio poi si suicida
«Il suicidio dell’uomo dopo l’omicidio è un atto di grande vigliaccheria, l’assassino fugge dall’assunzione della propria responsabilità. La differenza tra gli uomini, che non sono in grado di prendersi cura delle compagne o delle mogli, è evidente anche in un altro tipo di femminicidio. In alcuni casi, gli uomini ammazzano donne affette da gravi malattie, dicono di farlo per alleviarle il dolore, ma le donne non hanno chiesto di morire. Sono invece gli uomini che hanno paura di prendersene cura. Non ci sono casi di donne che uccidono uomini malati, la donna è a fianco del compagno è pronta anche ad assisterlo. L’uomo, invece, che ha come centro solo se stesso, è terrorizzato, la uccide e poi magari si suicida». 
 

Ultimo aggiornamento: 7 Giugno, 09:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci