Cucchi, Difesa sarà parte civile. Il carabiniere: «A Stefano calci in faccia»

Lunedì 8 Aprile 2019
Cucchi, Difesa sarà parte civile. Il carabiniere: «A Stefano calci in faccia»
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Dichiarazioni forti di Francesco Tedesco, il carabiniere imputato di omicidio preterintenzionale al processo sulla morte di Stefano Cucchi. «Chiedo scusa alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria, imputati al primo processo.

Per me questi anni sono stati un muro insormontabile». Tedesco ha iniziato così il suo discorso in aula davanti alla Corte d'Assise. Tedesco accusa di pestaggio gli altri due militari coimputati, Raffaele D'Alessandro e Alessio Di Bernardo.

 


«Al fotosegnalamento Cucchi si rifiutava di prendere le impronte: siamo usciti dalla stanza e il battibecco con Alessio Di Bernardo (carabiniere imputato,ndr) è proseguito. A un certo punto Di Bernardo ha dato uno schiaffo violento a Stefano. Io dico: «ma che c... stai facendo? Smettila«. Di Bernardo spinge Cucchi e poi D'Alessandro
dà un calcio a Cucchi all'altezza dell'ano. Io spingo Di Bernardo e nel frattempo Cucchi cade a terra, battendo la testa, tanto che ho sentito il rumore.... poi Raffaele D'Alessandro (anche lui cc imputato, ndr) ha dato un calcio in faccia a Stefano». Così davanti alla Corte d'Assise, Francesco Tedesco, il carabiniere imputato di omicidio preterintenzionale e superteste al processo Cucchi.

Non era facile denunciare i miei colleghi. Il primo a cui ho raccontato quanto è successo è stato il mio avvocato. In dieci anni della mia vita non lo avevo ancora raccontato a nessuno
».

«Dire che ebbi paura è poco. Ero letteralmente terrorizzato. Ero solo contro una sorta di muro. Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio, un fatto che avevo denunciato. Ero solo, come se non ci fosse nulla da fare. In quei giorni io assistetti a una serie di chiamate di alcuni superiori, non so chi fossero, che parlavano con Mandolini. C'era agitazione. Poi mi trattavano come se non esistessi. Questa cosa l'ho vissuta come una violenza».

Ilaria Cucchi: 
«Dopo 10 anni la verità». «Dopo dieci anni di menzogne e depistaggi in quest'aula è entrata la verità raccontata dalla viva voce di chi era presente quel giorno. Le dichiarazioni e le intenzioni espresse dal comandante generale dell'Arma ci fanno sentire finalmente meno soli, si è schierato ufficialmente dalla parte della verità». Così Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, dopo le dichiarazioni in aula del superteste-imputato Francesco Tedesco. «A differenza di quello che qualcuno dei difensori ogni udienza dà ad intendere, chi rappresenta l'Arma non sono i difensori degli imputati ma è il loro comandante generale, che ora si è schierato ufficialmente dalla parte della verità», ha aggiunto Ilaria Cucchi «Sentivo il carabiniere Tedesco descrivere come è stato ucciso mio fratello - ha aggiunto Ilaria - e il mio sguardo cercava quello dei miei genitori che ascoltavano raccontare come è stato ucciso il loro figlio. È stato devastante, ma a questo punto quanto accaduto a Stefano non si potrà mai più negare».

LA LETTERA Sulla morte di Cucchi è intervenuto anche il generale Giovanni Nistri, comandante dell'Arma dei carabinieri, in una lettera alla famiglia  indirizzata a Ilaria Cucchi e pubblicata oggi sul quotidiano 'La Repubblicà. «Crediamo nella giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di una giovane vita sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un'aula giudiziaria», scrive il generale Nistri.
«Gentile Signora Ilaria Cucchi, ho letto con grande attenzione la lettera aperta che ha pubblicato sul suo profilo Facebook. - inizia Nistri la lettera - Sabato scorso, a Firenze, nel rispondere a una domanda di una giornalista, pensavo a voi e alla vostra sofferenza, che ho richiamato anche nel nostro ultimo incontro. Pensavo alla vostra lunga attesa per conoscere la verità e ottenere giustizia. Mi creda, e se lo ritiene lo dica ai suoi genitori, abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi ha mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà». «Abbiamo la vostra stessa impazienza - prosegue Nistri - perché il vostro lutto ci addolora da persone, cittadini, nel mio caso, mi consenta di aggiungere: da padre. Lo abbiamo perché anche noi la stragrande maggioranza dei carabinieri, come lei stessa ha più volte riconosciuto, e di ciò la ringrazio crediamo nella giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di un giovane vita sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un'aula giudiziaria».
 
 

«Proprio il rispetto assoluto della legge - continua il generale - nella lettera ci costringe ad attendere la definizione della vicenda penale. Come vuole la Costituzione, la responsabilità penale è personale. Abbiamo bisogno che sia accertato esattamente, dai giudici, 'chì ha fatto 'che cosà. Nell'episodio riprovevole delle studentesse di Firenze, il contesto era definito dall'inizio. C'erano responsabilità dei militari sin da subito impossibili da negare, almeno nell'aver agito all'interno di un turno di servizio e con l' uso del mezzo in dotazione, quando invece avrebbero dovuto svolgere una pattuglia a tutela del territorio e dei cittadini. In questo caso, abbiamo purtroppo fatti sui quali discordano perizie, dichiarazioni, documenti. Discordanze che saranno però risolte in giudizio. Le responsabilità dei colpevoli porteranno al dovuto rigore delle sanzioni, anche di quelle disciplinari».

«Comprendiamo l'urgenza e la necessità di giustizia, così come lo strazio di dover attendere ancora. Ma gli ulteriori provvedimenti, che certamente saranno presi, non potranno non tenere conto del compiuto accertamento e del grado di colpevolezza di ciascuno. - prosegue ancora Nistri - Ciò vale per il processo in corso alla Corte d' Assise. E ciò varrà indefettibilmente anche per la nuova inchiesta avviata dal Pubblico Ministero nella quale saranno giudicati coloro che oggi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere». «Io per primo, e con me i tanti colleghi, oltre centomila, che ogni giorno rischiano la vita - conclude Nistri - soffriamo nel pensare che la nostra uniforme sia indossata da chi commette atti con essa inconciliabili e nell'essere accostati a comportamenti che non ci appartengono».

Tedesco: 
«Mandolini mi disse "Devi dire che stava bene"». «In quel periodo tutto passava da Mandolini per la vicenda Cucchi. Lo fermai un giorno chiedendogli cosa avremmo dovuto fare nel caso ci avessero chiesto qualcosa, ma lui mi rispose "Tu non ti preoccupare, devi dire che stava bene. Tu devi seguire la linea dell'arma se vuoi continuare a fare il carabiniere». Così Francesco Tedesco nel corso dell'esame del Pm al processo che per la morte di Stefano Cucchi lo vede imputato insieme con altri due suoi colleghi di omicidio preterintenzionale (altri due di calunnia e falso). «Percepii quelle parole di Mandolini - ha aggiunto Tedesco - come una minaccia abbastanza seria. La prima delle due volte che sono stato sentito dal pm, poi, venni accompagnato da Mandolini il quale non mi minacciò esplicitamente, ma mi disse sempre di stare tranquillo e di dire che Cucchi stava bene. Io, però, non mi sentivo affatto tranquillo».



«Cercavo di trovare un contatto con qualcuno in tutti i modi. Per questo in udienza guardavo Ilaria che può aver visto il gesto come una provocazione. Ma in realtà mi sentivo solo contro il mondo». Lo ha detto in aula durante l'interrogatorio, davanti alla Corte d'Assise, Francesco Tedesco, il carabiniere imputato di omicidio preterintenzionale che al processo sulla morte di Stefano Cucchi accusa di pestaggio gli altri due militari coimputati, Raffaele D'Alessandro e Alessio Di Bernardo.

Ultimo aggiornamento: 21:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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