Cerciello, lo sfogo della moglie: «Era un servitore dello Stato, non passi il messaggio che da noi si può uccidere»

Lo sfogo della Esilio dopo l’annullamento delle condanne: «Ho profonda fiducia nella giustizia del nostro Paese, aspetto le motivazioni».

Giovedì 16 Marzo 2023 di Valeria Di Corrado
Cerciello, lo sfogo della moglie: «Era un servitore dello Stato, non passi il messaggio che da noi si può uccidere»

«Che non passi il messaggio che in questa nazione, senza conseguenze concrete, si possa trascorrere le proprie vacanze portando al seguito armi, comprando droga e uccidendo servitori dello Stato». È questo l’amaro e pungente commento di Rosa Maria Esilio, la moglie del vice brigadiere Mario Cerciello Rega, all’indomani della sentenza della Cassazione che ha messo in discussione l’impianto accusatorio contestato ai due amici di San Francisco venuti in vacanza a Roma nell’estate del 2019 con un coltello da Marines nascosto tra la biancheria e che, dopo aver lasciato il carabiniere agonizzante sull’asfalto, hanno preparato i bagagli, pronti a salire sul primo volo per gli Usa con il peso di un delitto sulla coscienza. I giudici della Corte Suprema, infatti, hanno ritenuto credibile la tesi difensiva secondo cui non avevano capito di avere di fronte due appartenenti alle forze dell’ordine, quella notte tra il 25 e il 26 luglio, aprendo così la strada per Finnegan Lee Elder a una diminuzione della pena a 24 anni di reclusione, inflitta in secondo grado, per aver affondato 11 volte, in 20 secondi, una lama da 18 centimetri nel corpo di Cerciello. Mentre per Gabriel Natale Hjorth, condannato a 22 anni, hanno messo in discussione l’accusa stessa di concorso nell’omicidio.

«La mia assistita - spiega l’avvocato Massimo Ferrandino, legale della vedova - pur esprimendo amarezza e disorientamento, intende ribadire la profonda fiducia nella Giustizia e continuare a credere nella massima: “la legge è uguale per tutti”, presente in ogni aula di Tribunale.

Ritiene necessario e giusto attendere comunque di leggere le motivazioni della sentenza, con la speranza, in memoria del marito barbaramente ucciso durante il servizio». «Penso sia l’atto più crudele che possa fare una persona: ucciderlo così in mezzo alla strada, scannato come un vitello - aveva riferito in un’intervista di circa due anni fa la signora Esilio, che ha perso per sempre l’amore della sua vita, l’uomo con il quale era sposata da appena 43 giorni e che l’avrebbe resa madre - Chiunque conosca Mario non ha mai avuto timore o paura di lui, era un gigante buono». «Gli avvocati non devono commentare mai le sentenze, al massimo possono impugnarle. Attenendomi a questo principio - ha concluso il suo difensore - posso però dire che il mio sentimento e le mie riflessioni dopo la sentenza sono comuni a molti cittadini italiani».

I precedenti

L’impressione diffusa, infatti, è che spesso agli stranieri (soprattutto gli statunitensi) che nel nostro Paese si macchiano di reati, anche molto gravi, sia agevole tornare a casa impuniti (o quasi). Il pensiero va all’aereo militare statunitense che, volando a una quota inferiore a quella prevista dai regolamenti, il 3 febbraio 1998 tranciò il cavo della funivia del Cermis, facendo precipitare la cabina e provocando la morte di venti persone. O all’incendio divampato i primi di maggio del 2004 nell’Hotel Parco dei Principi di Roma, in cui morirono due coniugi canadesi, che per la paura si chiusero in bagno rimanendo asfissiati, e un americano precipitato mentre tentava di calarsi dalla finestra del quinto piano. Ad aver provocato il rogo, probabilmente, furono due ragazze statunitensi, gettando una sigaretta nel cestino. Ma lasciarono l’Italia il giorno successivo alla tragedia. Come hanno fatto anche i danesi a bordo del motoscafo che il 23 luglio scorso ha travolto, al largo dell’Argentario, la barca a vela di una comitiva di amici romani, uccidendone due; o come i due manager tedeschi che, 19 giugno 2021, con una dinamica simile hanno ucciso una coppia di italiani che stava su un gozzo sul lago di Garda. Per non parlare poi del caso di Andrea Nicola Calipari, il poliziotto ucciso a Baghdad il 4 marzo del 2005, nelle fasi successive alla liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, da soldati statunitensi rimasti impuniti.

Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 17:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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