Ardea, Andrea Pignani era Hyde sui social, fu sottoposto a consulenza psichiatrica

Lunedì 14 Giugno 2021
Ardea, chi era Andrea Pignani: Hyde sui social e quella consulenza psichiatrica. Follia alla base del gesto?

Le poche e vetuste tracce che restano di lui sui social favoleggiano del fantomatico Mr Hyde, il lato oscuro del dr Jekill di Robert Louis Stevenson. Così si faceva chiamare Andrea Pignani, 35 anni non compiuti. Echi gotici, misti a romanzi noir ambientati nella terra dei Druidi, gli antichi sacerdoti celti avvezzi ai sacrifici umani, tratteggiano l’uomo che domenica ha sparato, ad Ardea, sul litorale romano, ai fratellini David e Daniel Fusinato, di 5 e 10 anni, e a un pensionato, Salvatore Ranieri. «Sono colui che attraversò l’abisso delle ere e si soffermò sul ciglio dell’umanità», scrive, postando foto scattate da lui, con qualità artistica elevata.

Le stesse che poi, probabilmente, ha voluto distruggere in casa, convinto che qualcuno volesse fargli del male.

Si sentiva perseguitato Andrea, il dr Jekill e Mr Hyde che dall’ottobre del 2019 si era trasferito con i genitori nella villetta all’interno del consorzio di Colle Romito. E con una doppia personalità lo ricorda anche il presidente del consorzio, Romano Catini: «Bisticciava, ma poi quando ci parlavi si mostrava educato e affabile, una doppia personalità». Una personalità, però, disturbata per la quale non si curava. Pignani, dopo avere sparato al parco delle Pleiadi, domenica, è tornato a casa e si è barricato dentro. I carabinieri hanno circondato l’abitazione, una prima “cinturazione” a largo raggio con le pattuglie territoriali, e un’altra più a stretto raggio effettuata dalle Api (Aliquote di primo intervento) e dalle Squadre operative di supporto, «dispositivi nati dopo gli attentati terroristici di Parigi e di Bruxelles», ha spiegato il colonnello Michele Roberti, comandante del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Roma.

Una lunga scia di sangue in Italia

In quei momenti, gli investigatori hanno capito che davanti a loro, probabilmente, non c’era un killer su commissione o qualcuno che aveva premuto il grilletto per una vendetta, ma un uomo che non era stato curato. Agli atti risultano solo 24 ore passate al pronto soccorso l’11 maggio del 2020 al Nuovo Ospedale dei Castelli di Ariccia, in seguito proprio a un intervento dei carabinieri in soccorso alla madre, minacciata da lui con un coltello. Il 34enne era stato accompagnato da un’ambulanza al pronto soccorso dove giungeva - volontariamente - per «stato di agitazione psicomotoria» con codice azzurro, e veniva sottoposto a consulenza psichiatrica, a seguito della quale veniva dimesso con diagnosi di «stato di agitazione – paziente urgente differibile che necessita di trattamento non immediato. Si affida al padre». Nessun Tso, trattamento sanitario obbligatorio, insomma, nessuna presa in carico da parte del sistema sanitario. 

Ma sottoporre una persona a un Tso non è affatto semplice e di persone “agitate”, i pronto soccorso sono pieni. La legge prevede che si possa richiedere prima un accertamento sanitario obbligatorio, come spiega Massimo di Giannantonio, presidente della Società italiana di psichiatria e procedere solo «quando ci si trova di fronte a una condizione psichiatrica di grande severità e se, per una serie di ragioni, il paziente non è in grado di assicurare nessun tipo di rapporto positivo e di condivisione né della diagnosi né del trattamento». La richiesta deve essere inoltrata da due medici al dipartimento di salute mentale, che, a sua volta, si rivolge alla polizia locale. «Quest’ultima, su mandato del sindaco, si reca nell’abitazione del cittadino che dà segni evidenti di squilibrio, lo preleva e lo porta al pronto soccorso. E lì, anche contro la sua volontà, il paziente viene sottoposto ad un accertamento sanitario obbligatorio. Se durante l’accertamento - continua di Giannantonio - emerge la necessità di una terapia e il paziente continua a rifiutarsi, viene fatta l’istanza del Tso».

Il problema, però, nasce dopo. Perché una volta tornati a casa, a prendersi cura dei pazienti con problemi psichici e ad assicurarsi che seguano la terapia prescritta, c’è solo la famiglia. «La criticità della presa in carico e della piena operatività della legislazione italiana in tema di salute mentale è la drammatica mancanza di operatori e di un adeguato finanziamento delle strutture - dice di Giannantonio - Noi chiediamo che il governo stanzi risorse aggiuntive, perché dopo la pandemia la sofferenza è aumentata tantissimo». 

Secondo il Rapporto sulla Salute mentale 2018 del ministero della Salute, gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici sono 837.027; le prestazioni erogate dai servizi territoriali, circa 11.039.492, con una media di 14,2 prestazioni per utente. Ma non bastano per seguire davvero tutti i pazienti. La legge «impone alle Asl di dedicare alla salute mentale un minino del 5% del budget - prosegue di Giannantonio - ma la media dei finanziamenti è di 3,1 -3,2». Il Lazio, come rimarca Alberto Siracusano, direttore di Psichiatria e psicologia clinica del Policlinico Tor Vergata di Roma, vive la stessa situazione di tutta l’Italia: «Poche risorse e poco personale dedicato ad un’assistenza territoriale capillare che sarebbe necessaria».

Ardea, «il 37enne ha sparato a caso e poi si è allontanato»: morti due fratellini e un anziano

Ardea, presidente Consorzio: «Il 34enne aveva già sparato in aria altre volte, era stato segnalato»

 

 

Ultimo aggiornamento: 15 Giugno, 02:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci