«Non è stata legittima difesa perché il padre, la vittima, era disarmato». Il pubblico ministero Alessandro Aghemo non nasconde la tragicità della storia di Alex, il ragazzo che la notte del 30 aprile 2020 ha ucciso suo padre, Giuseppe Pompa, nel loro appartamento di Collegno, in provincia di Torino, ma in appello ieri in aula ne ha chiesto ugualmente la condanna a quattordici anni.
Alex Pompa, l'assoluzione in primo grado
Alex Pompa, oggi 21enne, che era stato assolto in primo grado, si trova ora ad affrontare un nuovo processo.
La lite in casa
Quella sera, quando la madre era tornata a casa, con il marito si era innescata l’ennesima lite. Dai toni violenti, accesi: l’uomo l’aveva accusata di aver sorriso a un collega di lavoro. «Ho agito per difenderci. Per difendere me, mia madre e mio fratello. Mio padre stava andando in cucina a prendere un coltello e io l’ho anticipato», aveva detto Alex alla Corte e agli inquirenti durante le indagini e ai carabinieri quando si è costituito.
Il magistrato, che durante la requisitoria ha messo in luce le contraddizioni delle testimonianza fornite da mamma Maria e dal fratello Loris durante il processo, parla di «seminfermità mentale. Alex ha agito con vulnerabilità interpretativa». Esasperato da anni di violenze e maltrattamenti, ha interpretato così l’atteggiamento del padre. «L’ha interpretato in maniera errata. Sicuramente la vittima aveva un atteggiamento verbale violento e molto aggressivo, ma non è mai andato oltre le minacce». Quella sera, in quell’alloggio al sesto piano di via Edmondo De Amicis, c’erano solo loro tre.
La porta
«È Loris a farci capire la loro disposizione - ha precisato il pubblico ministero -. Alex si arma in cucina, il fratello è davanti alla porta chiusa, la madre in bagno. Il padre non poteva scappare, non aveva vie d’uscita. Se qualcuno avesse aperto la porta, non saremmo qui, in quest’aula. Ma questo non è successo». Il pm ha poi ricordato alla Corte, presieduta dalla giudice María Cristina Domaneschi, la possibilità di sollevare una questione di legittimità costituzionale. La richiesta di 14 anni di carcere è vincolata dalla legge, nei casi di omicidio di un familiare, infatti, non è possibile considerare certe attenuanti prevalenti rispetto all’aggravante del vincolo di parentela. «Non siamo sorpresi della richiesta del pubblico ministero - ha replicato l’avvocato della difesa, Strata -. Una richiesta coerente con quella di primo grado. Come sta Alex? Anche oggi era molto provato, perché per lui è sempre dura dover ripercorrere attimo per attimo quanto successo nell’aprile 2020. Ma non è solo. Perché anche oggi erano presenti la madre, il fratello e la fidanzata, che non lo lasciano mai e lo supportano in questo estenuante processo».
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