Il 25enne Alessandro Femia non è morto per l’impatto contro il bus a metano dell’Atac, ha inalato i fumi dell’incendio che è esploso successivamente allo scontro, ma per alcuni minuti, dai dieci ai venti, è rimasto senza conoscenza all’interno dell’abitacolo della sua Volkswagen Scirocco senza che nessuno provasse a tirarlo fuori. È quanto trapela dalle prime indiscrezioni sull’autopsia eseguita sul corpo carbonizzato del ragazzo, analizzato anche attraverso la comparazione del Dna per essere sicuri che si trattasse proprio di lui. Un testimone, infatti, avrebbe dichiarato di avere visto un’altra persona allontanarsi dal luogo dell’incidente, avvenuto la notte di sabato 26 marzo all’incrocio tra via dei Castani e via dei Faggi a Centocelle e, dunque, la pm Rita Ceraso, ha voluto essere certa che i resti fossero i suoi.
L’IDENTIFICAZIONE
L’identificazione ufficiale è arrivata la scorsa settimana.
Minuti, preziosi, infiniti. Gli agenti della Polizia locale hanno acquisito le immagini registrate da una seconda videocamera (una prima, quella della paninoteca all’angolo non avrebbe inquadrato perfettamente la Scirocco) posizionata nei pressi della banca. Da questo video la Procura si aspetta una svolta per capire come si sono svolti i fatti. Dopodiché potrebbe essere disposta anche una perizia in 3D con sopralluogo sul posto. «Non è una indagine semplice - afferma Cardillo - bisogna accertare innanzitutto i tempi intercorsi e la velocità a cui viaggiavano le vetture, specie l’autobus che ha oggettivamente scalzato dalla loro sede e spostato di svariati metri in avanti ben 7 auto, il che vuol dire che tanto piano forse non procedeva. Quindi occorre verificare quanto tempo abbia impiegato il fuoco per propagarsi». Dalle prime immagini visionate, sembrerebbe che inizialmente sul cofano della macchina di Alessandro ci fosse solo una piccola fiammella.
Il rogo sarebbe nato dalla rottura, un foro, dell’impianto a metano posto sotto il sedile del conducente del bus N5, probabilmente tracce del gas sono finite sull’auto appiccando solo successivamente l’incendio. «Altro quesito - aggiunge il legale -: sono stati rispettati, se esistono, tutti i protocolli di sicurezza?». Papà Anselmo è più esplicito: «Un bus a metano, soprattutto se condotto a velocità sostenuta, è una bomba viaggiante. Il personale Atac è addestrato in caso di incidente? Esiste una squadra di pronto intervento in collegamento con i vigili del fuoco?», si chiede. Intanto giovedì alle 11 si svolgeranno nella chiesa di San Clemente, a Conca d’Oro, i funerali del ragazzo.
«Alessandro era un mago dell’informatica, a 10 anni sapeva già programmare una rete. Con una maturità incredibile - ricordano in famiglia - decise di iniziare subito a lavorare e di studiare alle serali. Ha preso due diplomi, abitava da solo, era economicamente autonomo anche se non ne aveva bisogno». Un mistero il perché quella notte fosse a Centocelle. Intorno alle 4 dopo una serata con gli amici era stato riaccompagnato a casa. Dopo mezz’ora l’incidente dall’altra parte della città. «Era sempre disponibile con tutti, forse era andato a dare una mano a qualcuno - conclude il padre - Chiederemo i tabulati telefonici. E se qualcuno lo stesse inseguendo? Non sappiamo che pensare».