La beneficienza si trasforma in truffa al ristorante cinese di Via Gela, a Roma, col sospettato complotto tra una ragazza non abbiente e la proprietaria del locale.
Acconsentendo alla nuova richiesta, la filantropa ha seguito la bisognosa nel ristorante cinese all’angolo, rimanendo estremamente scossa dall’inaspettato evolversi della situazione. «Ho pagato 22 euro per quattro piatti di cui la ragazza sapeva i nomi a memoria. Mi è sembrata una truffa architettata con la proprietaria».
Questo ha dichiarato la donna che, date le spropositate attese prospettate dalla proprietaria per esaudire le richieste della cliente, ha provveduto a sanare il conto e ad andarsene. Una previsione pessimistica delle tempistiche, piatti troppo elaborati o l’indice di un raggiro?
Ma non finisce qui: l’ordinazione è divenuta più ricca rispetto agli accordi iniziali una volta messo piede nel ristorante. Stando a quanto affermato dalla ragazza, le pietanze da lei ordinate in aggiunta senza il consenso dell’offerente sarebbero state poi recapitate ai figli. Che si tratti di una truffa ben costruita, di una sequenza spiacevole di coincidenze, di un eccessivo altruismo o di un’estrema ingenuità?