Arriva lo stop ai pirati dei giornali: la Cassazione blinda il copyright

La Corte: «Non si possono pubblicare in rassegna articoli con espressa riserva. Va pagata la licenza». Accolto il ricorso dei principali editori italiani che da anni combattono per difendere i contenuti

Venerdì 20 Gennaio 2023 di Roberta Amoruso e Michela Allegri
Arriva lo stop ai pirati dei giornali: la Cassazione blinda il copyright

Ora lo ha stabilito anche la Cassazione, mettendo un punto fermo in un contenzioso che va avanti da anni e che è già costato decine di milioni di euro alle aziende editoriali: le società di rassegna stampa non possono riprodurre - senza pagare - gli articoli giornalistici coperti da copyright.

Una decisione rivoluzionaria che arriva a 24 ore dall’entrata in vigore del regolamento Agcom, attuativo della Direttiva europea sul diritto d’autore, che prevede il riconoscimento agli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico dei «diritti esclusivi di riproduzione e comunicazione» dei loro prodotti e il pagamento di «un equo compenso all’esito di una leale e controllata negoziazione», non solo da parte dei giganti del web, ma anche da parte di imprese di media monitoring e rassegne stampa.

LA PORTATA DEL FENOMENO

Una regolamentazione necessaria, considerata la portata del fenomeno e i danni provocati alle case editrici italiane. Per comprenderlo basta mettere in fila alcuni dati. Il contenzioso risolto dalla Cassazione su ricorso de Il Messaggero, Il Gazzettino, Il Mattino, Leggo, Corriere Adriatico, Quotidiano di Puglia, Gruppo Gedi, Poligrafici Editoriale, Mondadori, Giornale di Sicilia ed Editoriale Poligrafica riguarda Eco della Stampa e Data Stampa, i principali operatori di media monitoring in Italia.
Le due società - va ricordato - rappresentano da sole oltre la metà del mercato nazionale dei servizi di rassegna stampa e sono i principali fornitori di tali servizi a istituzioni pubbliche e ditte private: tra i clienti ci sono Camera dei Deputati, Senato della Repubblica e società quali Unicredit, Enel, Trenitalia, Leonardo. Nonostante il volume di affari e di guadagno sia gigantesco, hanno sempre negato di essere obbligate a chiedere il consenso degli editori e a pagare i diritti di autore per l’utilizzazione degli articoli a riproduzione riservata. In Italia sono gli unici operatori che hanno sempre rifiutato di chiedere una licenza per la riproduzione degli articoli, perché ritengono che la loro attività non comporti comunicazione al pubblico di contenuti protetti, visto che le rassegne sono destinate a un limitato numero di clienti, e affermano anche che la loro attività è tutelata dal diritto all’informazione. 
Una situazione cambiata dopo l’approvazione della direttiva europea del 2019 sul copyright e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, che prevede il pagamento in favore degli editori di un compenso per l’utilizzo digitale degli articoli di loro proprietà.
La Direttiva richiamata dalla Suprema Corte è stata attuata in Italia nel 2021: il decreto legislativo numero 177 prevede, per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico, «il riconoscimento di un equo compenso, soggetto alla regolamentazione da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e un’equa negoziazione tra i prestatori di servizi della società dell’informazione, comprese le imprese di media monitoring e rassegne stampa, e gli editori».
Il contenzioso su cui si è pronunciata la Prima sezione civile della Cassazione, però, riguarda cause iniziate molto prima che venisse emanata la Direttiva, quindi la decisione è stata presa tenendo conto della normativa anteriore. 

LA DIRETTIVA

Dando ragione alle società editrici, e modificando la sentenza della Corte d’appello di Roma, i giudici hanno stabilito che, anche prima dell’attuazione in Italia della Direttiva europea sul diritto d’autore, le rassegne stampa non potessero riprodurre liberamente - e gratuitamente - articoli, informazioni e notizie pubblicati sui giornali e periodici «oggetto di riserva di riproduzione e utilizzazione». Tradotto: Eco della Stampa e Data Stampa non potevano diffondere - come invece hanno fatto per anni - gli articoli a riproduzione riservata. Addirittura, dopo la sentenza d’appello, le due società avevano comunicato al mercato che, per la loro attività, non avevano necessità di alcuna licenza rilasciata dagli editori. Una tesi ora definitivamente smentita dalla Cassazione.

IL REGOLAMENTO

La sentenza, insieme al regolamento approvato dall’Agcon, consegna agli editori uno strumento in più per far valere le proprie ragioni nei confronti dei grandi operatori della rete - compresi Google o Facebook - che pubblicano i loro articoli. Secondo il testo varato dall’authority, nel caso dei colossi del web saranno i ricavi pubblicitari a costituire la base di calcolo per la determinazione dell’ammontare della quota spettante all’editore. L’obiettivo della normativa è colmare il gap tra i ricavi percepiti dalle piattaforme per la pubblicazione di contenuti giornalistici e quelli - che finora sono stati minimi - destinati alle casse degli editori, titolari dei diritti. 
La posta in gioco su cui ha puntato i riflettori il regolamento Agcom, attuativo della Direttiva europea sul diritto d’autore, è alta. Finora i giganti della Silicon Valley si sono spartiti gran parte del mercato della pubblicità online anche grazie alla distribuzione dei contenuti altrui. Un giro d’affari che in Europa ruota attorno a 48 miliardi di euro l’anno, stando alle stime di IAB Europe, associazione di categoria che rappresenta le aziende di comunicazione e pubblicità. Finora il tesoretto è andato nelle tasche di chi questi contenuti li distribuisce, ben più di quanto arrivi a chi li produce. Ora l’ago della bilancia può finalmente porsi in equilibrio.

Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 10:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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