Attentato al Papa, il fotografo di Wojtyla Arturo Mari: «Ali Agca non sparò da solo, nessuno ha cercato la verità»

Giovedì 13 Maggio 2021 di Franca Giansoldati
Attentato al papa, il fotografo di Wojtyla Arturo Mari: «Ali Agca non sparò da solo, nessuno ha cercato la verità»

Alle 17,17 del 13 maggio 1981, in piazza San Pietro, quattro colpi di arma da fuoco esplosi in rapida successione ammutolirono di colpo la folla. Giovanni Paolo II in piedi sulla giardinetta bianca, fino a quel momento sorridente si accasciava con una smorfia di dolore, tra le urla, con la talare bianca imbrattata di sangue. A mezzo metro c’era il fotografo personale, Arturo Mari, una presenza familiare che lo ha seguito come un’ombra per tutto il resto del pontificato. 

Cosa ricorda?
«Se chiudo gli occhi rivivo ogni istante.

Nessuno avrebbe mai immaginato una cosa del genere. Sento ancora rimbombare i colpi d’arma da fuoco. Uno, due, tre quattro. Li risento nitidissimi». 

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Si disse che i colpi erano tre...
«No, furono quattro. Due per il Papa sparati da Agca e altri due sparati dall’altro terrorista, Oral Celik che era in piazza quel pomeriggio. Era sul lato opposto a dove si trovava Agca, tanto che i suoi colpi finirono per colpire due signore americane che erano sul lato sinistro e destro». 

Da quel momento ha inizio un mistero su chi siano stati i veri mandanti per eliminare il primo papa polacco della storia che stava contribuendo a far cadere il comunismo. Lei si è fatto una idea?
«Nessuno si è mai capacitato del perché colpire una persona del genere. Wojtyla era uno che aiutava tutti. Ecco perché quell’attentato era (ed è) una cosa anomala. Giovani Paolo II non era un tiranno da eliminare, un capo partito o un lestofante. Era davvero un santo. Dava la sua vita per la gente. Io ne sono testimone privilegiato».

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Wojtyla però faceva paura a Mosca, cosa che ammise persino il generale polacco Jaruzelski nella celebre intervista rilasciata a Jas Gawronski dicendo che svolse un ruolo enorme nella caduta dei regimi comunisti...
«Giovanni Paolo II ha fatto tantissime cose. Conosceva certamente il regime ma quando si dice che faceva cadere i muri dobbiamo pensare che chiedeva la libertà e difendeva la dignità umana. Non era come un politico. Solo un santo poteva fare queste cose con il dialogo». 

Non avrà fatto politica direttamente ma di certo destabilizzava. Si disse che dietro l’attentato vi fosse il Kgb, i servizi bulgari, persino ad un certo punto Khomeini. L’inchiesta compiuta in sei Paesi diversi non è riuscita mai a stabilire chi architettò il piano. A lei il Papa non ha mai detto nulla?
«Forze occulte ma non riuscirono nell’obiettivo. Ci fu davvero l’intervento della Madonna. Ne era convinto anche San Giovanni Paolo II».

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Quando rivide il Papa?
«Dopo 3 giorni mi mandò a chiamare. Si trovava al Gemelli. Gli feci le foto a letto, sorridente, per fare vedere che stava bene. Quelle immagini dovevano sfatare la narrazione del Papa morente. Quella mattina appena mi vide mi disse: Figlio mio lo vedi? La Madonna mi ha salvato».

Quando è arrivato il perdono al terrorista turco?
«Quando siamo rientrati al Palazzo Apostolico, dopo la degenza, ha voluto ricevere la mamma di Alì Agca. Quella donna si mise a piangere, non capiva come suo figlio avesse potuto arrivare a tanto. Giovanni Paolo II ebbe per lei parole di conforto. Quando feci le foto mi commossi». 

Poi andò anche a Rebibbia a perdonare il suo attentatore...
«Io entrai e feci solo la foto che ritraeva il Papa e Alì Agca in un angolo, seduti su una sedia. Poi io uscii ma non rimasero loro due soli perché dentro restò un uomo della sicurezza pronto ad intervenire qualora Agca avesse avuto un raptus». 

I magistrati che indagarono non ravvisarono in lui condizioni di natura psichiatrica. Fu appurato che nel 1979 evase per un omicidio, soggiornò in Iran e poi in Bulgaria contando su una rete protettiva. In un primo momento Agca disse di agire su richiesta dei bulgari che avrebbero versato come corrispettivo ai Lupi Grigi 3 milioni di marchi tedeschi. Poi nel 1985 ribaltò la versione urlando di essere “Gesù Cristo, Dio incarnato”. Wojtyla ha mai pensato che fosse uno squilibrato? 
«Mai. Ha sempre avuto per lui parole di conforto e cercava di aiutarlo. Io penso che la verità non verrà mai fuori. In tanti anni non sono mai usciti elementi concreti».
 

Ultimo aggiornamento: 14 Maggio, 09:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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