Coronavirus, paura tra i cinesi di Padova: «Bisogna trincerarsi, voi italiani sottovalutate il contagio»

Venerdì 6 Marzo 2020 di Serena De Salvador
Il centro culturale cinese CHIUSO a Padova

ROMA - «Svuotate i supermercati, ma poi considerate il Coronavirus come una banale influenza e mal tollerate le restrizioni». La pensano così i tanti cinesi che vivono a Padova. E tantissimi hanno deciso di abbassare la saracinesca ritirandosi dietro le mura di casa. É la più radicale applicazione delle norme per limitare il contagio, ma anche una scelta irrinunciabile per chi - anche non avendo contatti con la Cina da anni - è scottato in modo duplice dal virus. Se da un lato i cinesi guardano con terrore ai danni riportati dal Paese d’origine, dall’altro la paura di atti di razzismo e intolleranza è un’ombra ardua a scacciarsi.

Coronavirus, polemica sulla "fuga di notizie" per il nuovo decreto. Fontana: «Da Lombardia nessuna anticipazione»

IL COMMERCIO
«Raramente, ma capita - spiega Giorgio Liu che a dicembre ha preso in gestione un bar tabaccheria in via Morgagni - per la cittadinanza italiana ho rinunciato alla cinese, sono italiano, ma me ne vergogno quando sento certe storie di razzismo e violenza ingiustificabili». É uno dei pochi a tenere aperto nonostante gli affari abbiano subito un colpo già pesantissimo. Appena aveva cominciato a crearsi un giro di clienti si è trovato il viavai dimezzato: «Ho sospeso i servizi bar, faccio solo quelli di tabaccheria perché non voglio rischiare multe o denunce se le persone si assiepano al bancone. É terribile arrivare alle 6.30 e fissare il negozio vuoto».

La buona notizia: c'è il primo guarito da covid-19 in Umbria, è il manager di Foligno

Lui e diversi connazionali hanno scelto di indossare la mascherina per trasmettere sicurezza ma, puntualissimi, sono arrivati i risvolti negativi. Lo sanno Chaofan Wu e la moglie, in Italia dai tempi della scuola e titolari di un negozio e una tabaccheria in corso del Popolo, gli unici a guida cinese ancora attivi. «La portavo, ma le persone varcavano la soglia e tornavano indietro - spiega la donna - Chiudere? Dobbiamo pagare le tasse, non possiamo permettercelo. Però la comunità cinese è concorde: bisogna prestare massima attenzione, chi può chiudere lo fa. Ci barrichiamo in casa e usciamo solo se necessario». Ancor più spaventosa del contagio è la discriminazione: «Se si scoprisse che un cinese è positivo si scatenerebbe l’odio. I pregiudizi nascono dall’ignoranza e sono di pochi, ma bastano per buttare all’aria secoli di integrazione. Alcuni sembrano prendere alla leggera l’allarme, descrivono il Coronavirus come un’influenza quando invece ha fatto migliaia di morti. Forse i cinesi sono esagerati, ma con la salute non si scherza», prosegue.

Balotelli: «Fermiamo il campionato, dobbiamo pensare alla salute»

A darle ragione è l’insegna dell’associazione Hua Xia a qualche metro di distanza. Un cartello spiega che fino al 10 marzo la sede resterà chiusa. Reca il disegno di un pugno in segno di forza, imbrattato dalla penna che ha vergato le parole “Forza Italia!!!”.

Il Papa chiude anche i musei vaticani a partire da domani, troppo rischioso per i turisti

LE CHIUSURE
A unire preoccupazione allo smarrimento è poi la tragica situazione in cui versa l’economia. Specie in centro storico, il numero di attività chiuse è impressionante fra quelle a gestione cinese. Nei quartieri qualche apertura in più, ma decine di vetrine annunciano un periodo di stop. Ferie, ristrutturazione o chiaro e tondo l’allarme sanitario. «Piuttosto che correre rischi terremo chiuso anche per mesi – spiega il gestore di una sartoria di via Dante – Ho sospeso più di 40 ordini e non ne raccogliamo di nuovi». Bar, parrucchieri, centri estetici, negozi di oggettistica e abbigliamento. Siano nelle piazze del centro o in stazione, nei rioni o nelle zone residenziali, spesso i titolari sono all’interno. Ne approfittano per portare avanti il lavoro, per le pulizie, ma nessuno può varcare l’ingresso. Oltre ad affitti e bollette, anche rifornire la merce potrebbe diventare complesso vista la chiusura del Centro Ingrosso Cina. Il colosso di corso Stati Uniti alimenta gran parte degli esercizi della città ma in questi giorni il clima è spettrale. «Sistemiamo il magazzino e poi chiudiamo, qui non viene più nessuno - spiegano due giovani - Lavoriamo a porte sbarrate, non vogliamo essere riconosciuti perché temiamo che qualche pazzo ci faccia del male perché siamo cinesi».
Altro comparto affossato dall’allarme Covid-19 è quello della ristorazione, con tanti nomi simbolo della cucina cinese padovana che hanno preso commiato dalla clientela. A partire dallo Shanghai di via Marsala, istituzione padovana da oltre trent’anni che non riaprirà prima del 9 marzo. E poi il Mulan Magnolie a Forcellini, il Grande Shanghai a Pontevigodarzere, La perla d’Oriente a Chiesanuova giusto per fare qualche nome noto. E ancora bistrot, take away, rosticcerie e i locali che servono sushi il cui personale in molti casi ha origine cinese e non nipponica. Per il momento l’intransigente cautela sembra destinata a restare cifra caratteristica della vita cinese a Padova.

Coronavirus, medico di Bergamo su Fb: «Qui è guerra, altro che influenza, ho visto infermieri piangere»

 

Ultimo aggiornamento: 8 Marzo, 15:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA