«Evitiamo al nostro Mario la dodicesima coltellata»

Martedì 30 Luglio 2019 di Simone Canettieri
«Evitiamo al nostro Mario la dodicesima coltellata»

Il fioraio, per esempio. «Lo scorso 13 giugno - racconta Emanuele di Nola - stavo qui, davanti a questa chiesa, per consegnare le peonie bianche alla sposa. Adesso, eccomi di nuovo. Altri fiori. Incredibile». Davanti a Santa Croce è pieno di storie così. E non c'è bisogno nemmeno di entrare troppo nel cerchio di dolore della famiglia di Mario Cerciello, il carabiniere ucciso con 11 coltellate in una notte folle di Roma. Arriveranno dopo la mamma Silvia, consumata e quasi rimpicciolita dal dolore in un vestito nero, i fratelli Paolo e Lucia, abbracciati, e poi lei, Rosa Maria: moglie il 13 giugno, ora, il 29 luglio, vedova. Già, questi non sono funerali: è la clessidra della vita che ha iniziato a rovesciarsi all'impazzata.

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IL TRICOLORE
Carabinieri e tricolori ovunque. Sono loro che puntellano questo presepe: qua e là le corone di fiori arrivate dalle più alte cariche dello Stato. Ma anche dai parenti, gli stessi che avevano riempito la busta (come si usa al Sud) per mandare i ragazzi in viaggio di nozze in Madagascar. E allora bisogna entrare dentro la chiesa, sfidare i lamenti delle signore che piangono, superare i cavalieri di Malta, per i quali Mario si dava da fare facendo buone azioni a Lourdes o alla stazione Termini.

A metà navata c'è il primo filtro: dietro tutti gli altri, davanti la famiglia più stretta e le autorità. Il governo arriva in ordine sparso e non viene fischiato. Anzi, incoraggiato. «Giustizia», urla la folla. Entrano i ministri Matteo Salvini, Elisabetta Trenta, Sergio Costa e subito dietro il feretro sarà la volta di Luigi Di Maio. Ci sono il presidente della Camera Roberto Fico, il governatore della Campania Vincenzo De Luca, la sindaca di Roma Virginia Raggi, i sottosegretari Vincenzo Spadafora e Angelo Tofalo, il prefetto della Capitale Gerarda Pantalone. Gli ex ministri della Difesa Pinotti e La Russa, la vicepresidente della Camera Mara Carfagna. Nessuno si parla (Salvini si scambierà un segno di pace con Di Maio e subito dopo addirittura con Fico).

Ai lati dell'altare il picchetto dell'Arma, lo stesso che sempre il 13 giugno aveva sguainato le spade per far passare gli sposi sotto le lame. La clessidra invece ormai scorre veloce, al contrario.

Vibra la chiesa quando il feretro in lontananza taglia la piazza, la passione del paese sembra spingerlo dentro. L'applauso sembra una marcia. Mario è lì dentro. «Ride», nota un amico. Lo avvolge la bandiera italiana, il cappello da carabiniere, la sciabola, le medaglie, dopo si aggiungerà anche una maglia del suo Napoli, quella di Insigne. Ecco adesso è difficile anche parlare. L'applauso avrebbe già detto tutto, a seguire la vedova, la madre, i fratelli. Che c'è da dire? Monsignor Santo Marcianò, ordinario militare per l'Italia, dice che i politici devono imparare da Mario il senso dello Stato: basta piangere chi serve la Patria. Giovanni Nistri, comandante generale dei carabinieri, è nei primi banchi con la famiglia del vice brigadiere, morto a 35 anni nel cuore della Capitale. In un angolo anche Andrea Varriale, l'amico e il collega, l'ultimo che ha visto il vice brigadiere vivo, quella notte.

Tocca a Nistri, come un padre di famiglia, il discorso più duro e diretto. Le sue parole sono definitive: «Chiedo rispetto e riconoscenza per Mario. Giusti i dibattiti - dice guardando fisso l'ala dove siedono i ministri - ma oggi teniamoli fuori. Evitiamo la dodicesima coltellata al cuore d'oro del vicebrigadiere. I toni e i modi non siano dunque la dodicesima coltellata. Grazie Mario per quello che sei stato». E ancora Nistri: «Mario è morto per tutelare i diritti di tutti, anche di una persona arrestata: insieme con lui chiediamo rispetto per tutti gli altri».

LA VEDOVA
Rosa Maria, la vedova con la forza di un leone recita essere moglie di un carabiniere.
Poche frasi, ma dense. Obblighi e missioni di una scelta di vita. Niente è inedito dentro a questa chiesa: Rosa Maria lesse queste frasi lo scorso 13 giugno. Una vita fa. Si piange tutti. Due sindaci dell'hinterland napoletano si danno di gomito: «Speriamo che non sia un altro Cermis».

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