​Fabrizio Natale: «Io e mio figlio abbracciati abbiamo pianto insieme»

Giovedì 1 Agosto 2019 di Cristiana Mangani
Fabrizio Natale: «Io e mio figlio abbracciati abbiamo pianto insieme». Ricorso per la scarcerazione

È entrato in carcere nella tarda mattinata di ieri, Fabrizio Natale, il padre di Gabriel Christian, detto Gabe. Dopo il delitto non si erano ancora mai incontrati. E prima di ogni parola, di ogni strategia, c'è stato spazio solo per le lacrime, la commozione, l'abbraccio tra un genitore e un figlio finito in una storia più grande di lui. Il giovane americano compirà 19 anni tra qualche mese, figlio di famiglia agiata, andava all'università prima di finire in galera per concorso in omicidio. I giorni passati dietro le sbarre hanno pesato parecchio su questo ragazzo biondino, esile, dall'aspetto apparentemente mite. E al padre Fabrizio è la prima cosa che dice: «Sono distrutto, sconvolto, papà io non ho fatto niente».

IL RICORSO
Nessuna polemica per quella benda intorno agli occhi e le mani legate dietro la schiena. «Ho fiducia nella giustizia e nei pm italiani», taglia corto Fabrizio Natale senza enfatizzare. Ma quella immagine ripresa prima dell'interrogatorio, che è circolata sulle chat dei carabinieri, avrà un peso - eccome - nella strategia difensiva. Gli avvocati Francesco Petrelli e Fabio Alonzi, che assistono il giovane americano, non commentano in alcun modo. È facile immaginare che stiano preparando un ricorso al Tribunale del riesame, con il quale chiederanno la scarcerazione, o almeno i domiciliari, per il loro assistito. Si intuisce anche dalle parole del padre: «Non mi do pace per quello che è successo - si è sfogato - Siamo molto turbati per la situazione in cui si trova, ma siamo tutti pienamente convinti della sua innocenza».

Innocenza è una parola che ritorna molto in chi è vicino a Gabriel Natale Hjorth. Ma come dimostrarla? Difficile convincere i magistrati che il giovane non fosse a conoscenza del fatto che l'amico aveva con sé un coltello con una lama di 18 centimetri. Un'arma da guerra, implacabile. È ancora il padre Fabrizio a insistere sul punto: «Gabriel non pensava assolutamente che potesse esserci uno scontro e non sapeva che il suo amico fosse armato. Di cosa fosse veramente accaduto lo ha appreso solo successivamente, al momento del suo arresto. In questi giorni ho letto sui giornali molte cose inesatte sul conto di mio figlio. È un ragazzo normale che studia per diventare un architetto. È sconvolto per la morte del carabiniere e, io come padre, non posso che essere vicino al dolore della sua famiglia».

Al procuratore aggiunto Nunzia D'Elia che lo interrogava sui tempi dell'aggressione, l'americano ha risposto con una domanda: «Ma il carabiniere è morto, è proprio morto morto?», quasi non credesse alle accuse che gli venivano fatte. Eppure lui e l'amico Finn hanno lasciato Cerciello in mezzo alla strada sanguinante, ormai in fin di vita. Si sono dati alla fuga e sono corsi a nascondere coltello e indumenti sporchi di sangue in una intercapedine del soffitto dell'hotel in Prati.

LA FOTO
Il padre non potrà rimanere a lungo a Roma. È una famiglia abbiente quella di Gabriel, ma deve tornare in America per lavorare. Arriverà la madre, al suo posto. I genitori sono separati, però i rapporti tra loro sono cordiali. La donna è molto provata dopo aver visto sulle tivù americane l'immagine del figlio con gli occhi bendati, le mani dietro la schiena e il capo chino, come era solita vedere per i detenuti di Guantanamo. Papà Fabrizio ne ha parlato con il figlio ieri mattina: «È stato un incontro molto commovente - ha ammesso -, ma anche molto duro». Protesterete per quella foto? «Su questo non voglio commentare - ha tagliato corto Natale senior - So che ha subito questo trattamento al momento dell'arresto. È stato aperto un fascicolo alla Procura di Roma e sono pertanto convinto che se ci sono responsabilità saranno accertate».
 

Ultimo aggiornamento: 14:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA