Auto, Vannia Gava: «No alla decarbonizzazione fatta a colpi di machete. I tedeschi dalla nostra parte»

La viceministra: "Le emissioni nette di un motore termico alimentato a biocarburante sono prossime allo zero"

Sabato 4 Marzo 2023 di Roberta Amoruso
Auto, Vannia Gava: «No alla decarbonizzazione fatta a colpi di machete. I tedeschi dalla nostra parte»

Vannia Gava, viceministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, esiste davvero un asse Italia-Germania contro lo stop al 2035 ai motori endotermici? 

«Le obiezioni dell’Italia sul pacchetto “Fit for 55” sono state espresse sin dall’inizio. Nelle prime bozze di questa direttiva erano state introdotte deroghe precise per salvaguardare comparti strategici dell’automotive italiano, come per esempio le auto di lusso.

Abbiamo fatto una serie di proposte, ma siamo rimasti inascoltati».

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E poi cosa è cambiato?

«Alla vigilia del Consiglio Ue che avrebbe votato il testo frutto dell’accordo del 27 ottobre, siamo riusciti a fare muro con Polonia e Bulgaria. Poi nelle ultime ore anche Berlino, tramite il ministro dei Trasporti Volker Wissing, ha espresso criticità. Di qui il rinvio».

Quindi ci sono i numeri per il blocco della direttiva?

«Il Consiglio decide a maggioranza qualificata, vale a dire 15 Paesi su 27 e il 65% delle popolazione totale dell’Ue. Parametri, che evidentemente, sono venuti meno».

Qual è la proposta tedesca?

«Sono state richieste alcune esenzioni per i veicoli commerciali leggeri e per le automobili alimentate a “carburanti alternativi”, confermandone la vendita dopo il 2035. È una proposta pragmatica e di buonsenso, che ricalca appieno la nostra posizione. Siamo tutti pienamente convinti della necessità di decarbonizzare, ma la transizione deve essere graduale e giusta».

Quindi l’Italia spingerà su biocombustibili e gradualità?

«Insisto, il nostro approccio è ispirato al principio di neutralità tecnologica, non esiste solo l’elettrico. Le emissioni nette di un motore termico alimentato a biocarburante sono prossime allo zero».

Il veto è arrivato però proprio a ridosso della ratifica del Regolamento Ue, un bel rischio.

«È chiaro che la posizione negoziale di un governo politico ha un ruolo più incisivo. E fortunatamente al blocco dei contrari si è unita ora anche la Germania. Questo anche grazie allo sforzo diplomatico del vicepremier Salvini con i rappresentanti del governo tedesco. Lavoro che sta portando avanti anche nelle ultime ore aprendo un canale di interlocuzione con la Repubblica Ceca».

Che ruolo hanno le grandi case automobilistiche in questo confronto europeo? Coinvolgerle cosa può cambiare?

«I grandi gruppi sono quelli che muovono il mercato e sono più orientati alla vendita: trattandosi di multinazionali, che il motore si faccia in Italia o in Cina per loro è assolutamente indifferente. Certo è che, col divieto di vendita dei motori termici dopo il 2035, è ridicolo ipotizzare che le case automobilistiche possano investire oggi sui motori Euro7. Ma qui non è in gioco tanto la vendita quanto il mercato della componentistica. Rischiano di veder morire tante piccole e medie imprese dell’indotto».

Una bomba sociale, quindi.

«Il settore dell’auto vale oltre il 5% del Pil nazionale. E l’Italia risulterebbe il Paese più colpito tra le nazioni europee produttrici di componenti in termini di riduzione di posti di lavoro, con un meno 37%. I dati parlano di 600 mila aziende a rischio e 60 mila occupati in meno. Non si fa transizione ecologica così a colpi di machete sulla nostra economia».

Ma non è l’intera Europa a rischiare di consegnarsi alla dipendenza dai cinesi?

«Condividiamo tutti l‘obiettivo di un futuro decarbonizzato ma dobbiamo essere consapevoli della realtà: la Cina è ricca di materie prime che l’Europa non ha. È questione di consapevolezza, che l’attuale maggioranza di sinistra in Europa ha dimostrato evidentemente di non possedere».

Anche la corsa a una rete elettrica adeguata e agli accumulatori è una bella sfida per l’Italia costretta all’auto green.

«L’Italia sta investendo sulla resilienza delle proprie reti, sia per fronteggiare i fenomeni climatici estremi che per la maggiore elettrificazione dei consumi. È in corso un investimento Pnrr da 500 milioni e abbiamo altri 600 milioni dai fondi di coesione 2021-2027. Ma fotovoltaico ed eolico sarebbero comunque insufficienti. È chiaro che andranno affiancate da una sorgente di energia continua e sicura come il nucleare di nuova generazione».

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