Alluvione in Emilia Romagna, la vita sull'Appennino ostaggio delle mille frane: alto rischio spopolamento

Gabriele Meluzzi, sindaco di Fontanelice, valle del Santerno: "Ogni smottamento, anche piccolo, può significare l’impossibilità di vivere per un borgo, per un gruppo di famiglie"

Venerdì 26 Maggio 2023 di Paolo Ricci Bitti inviato nella Valle del Santerno
Alluvione in Emilia Romagna, la vita sull'Appennino ostaggio delle mille frane: alto rischio spopolamento

dal nostro inviato

VALLE DEL SANTERNO Piove all’alba e torna la paura dell’acqua.

Ma dura poco: ora picchia il sole e sale forte l’odore di terra smossa, di fango che si secca, di legno che sta marcendo, sulla testa ronzano gli elicotteri che portano “balloni” da 4 quintali di fieno agli allevamenti isolati. Le ferite, le frane, scarnificano ovunque per 60 chilometri il versante di destra e quello di sinistra della Valle del Santerno, comprensorio di Imola, Romagna. Enormi chiazze scure nel verde smeraldo delle faggete. E lo stesso vale sull’appennino che si affaccia per quasi 100 chilometri sulla via Emilia: dalla valle del Sillaro a quella del Conca, almeno 14 vallate e almeno 54 comuni in cui i geologi regionali continuano senza sosta a censire frane e smottamenti con cifre scritte però nella mota: siamo a oltre mille, di cui almeno 400 “significative”, ma i fianchi delle montagne si muovono ancora con boati da terremoto. 


GOOGLE MAPS
 

La cifra finale delle frane sarà spaventosa: le macchine fotografiche di Google Maps dovranno ripassare dappertutto per indicare la nuova viabilità, ma in realtà non potranno perché molte strade rischiano di non essere ricostruite. «Ecco - dice Gabriele Meluzzi, 37 anni, architetto, sindaco di Fontanelice - non è facile capire che cosa si intenda per “frana significativa”: nelle foto si evidenziano smottamenti impressionanti, strade sbriciolate, ma non si possono vedere le case o le aziende o le coltivazioni a monte o a valle. Ogni frana, anche “piccola”, può significare l’impossibilità di vivere per un borgo, per un gruppo di famiglie. Se crolla un grande ponte in una città la percezione della tragedia è immediata, ma chi abita in quella città ha sicuramente altre vie di comunicazione per continuare a vivere, a lavorare. Invece se viene giù la strada per Fornione, per Posseggio, per Sassoleone non ci sono alternative e comunità intere restano isolate. L’emergenza la stiamo gestendo: su 10mila abitanti nella vallata ci sono 500 sfollati, ma qui è in dubbio il futuro di tutti coloro che abitano in queste montagne infilate nel territorio di quattro province».

 

La strada “Montanara” nel fondovalle per ora tiene e si possono raggiungere Imola e Firenzuola, ma appena si svolta servono le ali per proseguire. Passa aggrappato a un trattore il veterinario della vallata, Valerio Calderoni, anche storico delle battaglie della Linea Gotica che attraversava queste zone: un allevatore è venuto a prenderlo per un parto difficile, ma fino alla stalla non ci si arriva nemmeno con una jeep. Il rischio di spopolamento, che faticosamente era stato quantomeno tamponato, è più alto di monte La Fine, che proprio con quel nome è il gigante della vallata (993 mslm). Nei pressi di Castel del Rio è irraggiungibile il b&b “La Tordicella” messo su otto anni fa dall’imolese Andrea Bandini, 61 anni, che voleva stare lontano dalla città: brillavano gli occhi ai turisti, anche americani, che arrivavano in quell’angolo di bosco di lecci e querce con caprioli, lupi e istrici e trovavano una piccola piscina a sfioro. Ora chi ricostruirà la strada che porta a quell’unica attività turistica? «Ci proverò con tutte le forze, abbiamo già fatto un sopralluogo per cercare strade alternative anche fosse possibile seguirle solo con un fuoristrada», dice il gestore, che però sarà senza reddito per quanto tempo dopo essere stato evacuato, insieme al cane Maffy, con l'elicottero? 


MONTE LA FINE
 

Gli allevatori e gli agricoltori, poi, sono incatenati a queste zone e non è solo questione d’amore: chi comprerebbe adesso le loro stalle o i loro poderi a rischio isolamento? Qualche trentenne si era persino trasferito per allestire piccoli allevamenti, coltivazioni bio di pregio, rilanciare l’economia delle castagne (marroni): adesso tanti terreni coltivati sono franati, oppure non ci si può andare. Ogni centro della vallata farà di tutto per garantire le iniziative estive per i turisti (tante le seconde case), le sagre, le feste medievali che calamitavano persino giapponesi, ma ora gli occhi sono tutti per le montagne che scivolano sugli strati di argilla. «Con le frane - dice ancora Meluzzi - abbiamo sempre fatto a patti, ma di “significative” ce n’era una ogni tre anni, non centinaia in due settimane. Qui diciamo, anche in queste situazioni: "Ci andiamo dietro", insomma, ci diamo da fare, ma dovremo ricostruire strade con nuovi criteri, serviranno ingentissime somme e il timore è che, alla fine, si aiuteranno le zone più abitate dimenticando che l’appennino romagnolo non può diventare tutto un parco naturale. Abbandonare queste vallate significa esporle ancora di più ai cambiamenti climatici. E se è successo quello che è successo in questi giorni anche in pianura, immaginate gli effetti con le montagne del tutto o quasi sguarnite».


Paolo Ricci Bitti

Ultimo aggiornamento: 21:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA