Cospito alla delegazione dem a Sassari: «Dovete parlare con i mafiosi»

Serracchiani, Verini, Orlando e Lai da Rampulla, "artificiere nero" di Capaci: «Non sapevamo chi fosse»

Venerdì 3 Febbraio 2023 di Andrea Bulleri
Cospito alla delegazione dem a Sassari: «Dovete parlare con i mafiosi»

Da una parte, tre condannati al 41 bis per reati di mafia, tra cui l’uomo che confezionò la bomba responsabile della morte di Giovanni Falcone e della sua scorta. Dall’altra, quattro parlamentari del Pd.

Che per una manciata di minuti ascoltano i detenuti e scambiano con loro qualche parola, attraverso gli spioncini delle porte d’acciaio. Interessandosi a quanti anni restino loro da scontare. Si gioca tutto in questo frangente il caso che getta nuova benzina sul fuoco delle polemiche innescate dal caso Cospito. Con Fratelli d’Italia che accusa il Pd di «dialogare con mafiosi e terroristi» e i dem che replicano parlando di «assurde insinuazioni» per «buttare la palla in tribuna».


LA VICENDA
Tutto nasce dalla visita dello scorso 12 gennaio al penitenziario di Sassari da parte di quattro eletti dem: Debora Serracchiani, capogruppo alla Camera, Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia, Walter Verini (senatore) e Silvio Lai (deputato). Un viaggio nato allo scopo di «verificare le condizioni di salute» di Alfredo Cospito, l’anarchico condannato al 41 bis in sciopero della fame da ottobre. Ma la visita, come riportato ieri dal Fatto Quotidiano (e confermato dagli stessi interessati), non si è limitata a un breve colloquio con Cospito. Perché quando gli è stato domandato delle proprie condizioni, sarebbe stato lo stesso leader anarchico ad avanzare una richiesta: «Non parlate solo con me, chiedete anche agli altri detenuti». 


Ma i tre detenuti coi quali Cospito condivideva quel braccio del carcere di Sassari, prima di essere trasferito a Milano, non erano prigionieri qualsiasi. Si tratta di Francesco Di Maio, camorrista affiliato al gruppo Bidognetti del clan dei Casalesi. E poi Francesco Presta, killer della ‘ndrangheta. Infine Pietro Rampulla, l’«artificiere nero» di Capaci.

 

L’uomo, già militante di Ordine Nuovo, identificato come colui che materialmente realizzò l’ordigno piazzato sotto il tunnel dell’autostrada che uccise il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i membri della scorta. Nessuno di loro ha mai collaborato con la giustizia, nessuno si è pentito. 


Eppure un breve scambio tra i tre boss e i parlamentari c’è stato, quel 12 gennaio. E nel mirino dei meloniani sono finite proprio quelle parole di Cospito: «Parlate anche con loro». Come se i quattro esponenti dem avessero in qualche modo seguito le indicazioni di un uomo accusato di strage contro la sicurezza dello Stato.


LA REPLICA
«È una questione che non esiste, una mascalzonata», insistono dal Pd: «Di certo non abbiamo parlato con loro perché ce l’ha detto Cospito», la linea. «Nessuno ci ha ordinato niente» mette in chiaro Serracchiani in serata, dopo una giornata in cui l’unica (o quasi) voce dei dem era stata la nota vergata dai quattro parlamentari in replica alle accuse. «Quando siamo arrivati» al penitenziario, racconta Serracchiani «la polizia ci ha portato davanti alla cella di Cospito, ma io stavo già parlando con il detenuto della terza cella, Verini con quello della quarta. Inutile dire che Cospito ci ha ordinato di parlare con gli altri detenuti: è una cretinata». 


Evitare gli altri prigionieri, secondo i quattro dem, sarebbe stato impossibile. «La sezione del 41 bis è formata da compound di quattro celle – va avanti la capogruppo dem – Tu entri e c’è un unico corridoio, con tutte e quattro le celle che si affacciano su quel piccolo spazio. Per cui, inevitabilmente, se i detenuti si affacciano li vedi e parli con tutti e quattro. Cosa che avremmo comunque fatto, a prescindere da qualunque cosa avesse detto Cospito». 


«NESSUN DIALOGO»
Un altro dei partecipanti nega che ci sia stato un vero e proprio dialogo. «Abbiamo ascoltato. L’unica domanda rivolta è stata: da quanto tempo siete qui?». In più, continuano i dem, nessuno dei quattro eletti conosceva i nomi degli altri detenuti. «Siamo andati lì perché c’era un appello firmato da personalità importanti, del calibro di Don Ciotti, Gherardo Colombo, Giovanni Maria Flick, secondo cui Cospito rischiava di morire. Il nostro obiettivo era verificare le sue condizioni di salute e l’adeguatezza della struttura al regime di 41 bis. E come abbiamo messo in chiaro fin da subito con lui, eravamo lì per quel motivo, non per ascoltare le sue valutazioni. Né c’era ragione di informarsi prima su chi fossero gli altri prigionieri». 


I dem, insomma, non conoscevano l’identità dei detenuti nelle celle vicine a quelle dell’anarchico. «I loro nomi? Li abbiamo saputi s dopo l’intervento di Donzelli». Ma è una circostanza che non cambia niente, per il Pd: «Quando si va in un carcere lo si fa per verificare le condizioni della struttura e dei detenuti, non per fare conversazione. Si ascolta, non si parla. E si ascolta anche il personale: dirigenti, medici, penitenziaria».

E se dalla maggioranza piovono critiche, nella nota di metà mattinata i dem non vogliono lasciare spazio a dubbi: «Abbiamo sempre ribadito l’esigenza assoluta di mantenere l’istituto del 41 bis come strumento di contrasto alla criminalità organizzata. I tentativi di buttare la palla in tribuna per difendere l’indifendibile (ossia, secondo il Pd, il fatto che le frasi pronunciate da Cospito oggetto di intercettazione siano finite in mezzo a un dibattito parlamentare, ndr) sono sempre più goffi». 
 

Ultimo aggiornamento: 11:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA