Narcotizza e strangola il marito davanti al figlio ad Alessandria, poi chiama la polizia: «Ci ha maltrattato per anni»

Lunedì 12 Luglio 2021
Narcotizza e strangola il marito davanti al figlio ad Alessandria, poi chiama la polizia: «Ci ha maltrattato per anni»

Ci sono esasperazione e paura dietro al delitto commesso ieri in provincia di Alessandra dove una donna ha addormentato il marito prima di strangolarlo davanti al figlio. È morto così Luciano Giacobone, camionista di 64 anni, ucciso in casa dalla moglie Agostina Barbieri, di quattro anni più giovane, che poi ha chiamato i carabinieri: «Venite a prendermi», la confessione della donna, ora in carcere, che ai militari dell'Arma ha raccontato anni di violenze e maltrattamenti.

«Non ce la facevo più...».

Il dramma familiare ieri a Borghetto di Borbera, meno di duemila abitanti in provincia di Alessandria, a poche ore dalla finale degli Europei che con la vittoria dell'Italia ha fatto esultare anche questa parte del Piemonte. Sposati dal 1990, lei era in pensione, lui a casa dallo scorso agosto, forse dopo avere perso il lavoro. Una famiglia per bene, riservata, dicono oggi nel piccolo centro della Val Lemme, dove la notizia dell'omicidio ha destato stupore.

«Erano due grandi lavoratori, mai avremmo immaginato una tragedia del genere», sostengono i vicini di casa sotto choc. Dietro all'immagine di una coppia affiatata, secondo il racconto di Agostina Barbieri si celava un'altra realtà. Anni di violenze e maltrattamenti, subiti anche dalla suocera della vittima e dal figlio 29enne, quest'ultimo presente ieri all'arrivo dei carabinieri e, probabilmente, anche all'omicidio. Una vita che la moglie non sopportava più, come ha ribadito nella notte, in caserma, nel corso del lungo interrogatorio che si è concluso col fermo della sessantenne, ora reclusa nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino.

«Gli ho dato delle gocce, dei tranquillanti. E quando si è assopito l'ho strangolato», ha confermato assumendosi tutte le responsabilità del delitto. In attesa dell'esame autoptico, che dovrà confermare se le cose sono andate davvero così, e degli ulteriori accertamenti dei carabinieri, intervenuti anche con la Sezione Investigazioni Scientifiche del Nucleo investigativo del Reparto Operativo di Alessandria, i legali della donna sono già al lavoro. «Agostina è molto conosciuta, così come accade sempre nelle piccole comunità come è Borghetto», dice SIlvia Nativi, referente provinciale del centro antiviolenza Me.dea e legale. «Incensurata, grande lavoratrice, chiederemo per lei una misura alternativa al carcere», aggiunge l'avvocato, che assiste la donna fermata con il collega Franco Nativi.

Omicidio a Borghetto Borbera, un piccolo paese delle valli alessandrine: una donna è accusata di avere ucciso il marito nella casa dove abitavano. Il delitto risalirebbe al primo pomeriggio di ieri. Sulla vicenda indagano i carabinieri e la donna, interrogata nella notte, sarebbe già stata sottoposta a fermo. Entrambi sono sessantenni.

È stata l'omicida a chiamare il 112 per raccontare di aver ucciso il marito nello loro casa. Lo hanno confermato i carabinieri, intervenuti sul posto, nella serata di ieri. Hanno trovato il cadavere dell'uomo, 64 anni, con segni di strangolamento. La donna ha confessato di averlo ucciso dopo averlo sedato, stanca delle continue violenze e maltrattamenti subiti nel corso degli anni da lei e dal figlio, che era presente. La donna è stata interrogata nella notte e ha ribadito la versione dei fatti, assumendosene la piena responsabilità; è stata quindi sottoposta a fermo di indiziato di delitto e condotta nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Le indagini dei militari proseguono, in attesa dell'esame autoptico. 

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Sul caso della donna di Alessandria che ha narcotizzato e strangolato il marito davanti al figlio, prima di costituirsi confessando di aver reagito dopo anni di maltrattamenti, interviene l’avvocato Maria Luisa Missiaggia. Con oltre 30 anni di esperienza in diritto di famiglia, violenza sulle donne e violenza di genere, è anche la fondatrice di Studiodonne Onlus: associazione nata per promuovere in Italia lo sviluppo e la diffusione delle tecniche alternative al conflitto familiare, tutelare la donna vittima di violenze e promuove ricerche scientifiche nel campo della cura e della rieducazione degli uomini maltrattanti attraverso il metodo dei 12 passi.

Avvocato, qual è il primo pensiero che ha avuto nel leggere questa notizia?

Sicuramente è una storia molto triste, che crea sgomento. Per dare un commento più preciso, però, bisognerebbe analizzare tutta la vicenda in maniera approfondita. Quello che prima di tutto mi viene automatico chiedere è se questi maltrattamenti di cui era vittima anche il figlio, siano stati resi noti alle autorità. Perché capisce che se la donna aveva denunciato e non sono state prese misure cautelari la questione è grave. Se invece la donna non ha mai denunciato, bisognerebbe chiedersi quali siano state le ragioni che l’hanno spinta a non farlo.

Conosce casi di donne che hanno fatto segnalazione e non sono state ascoltate?

Se la donna denuncia, viene sempre ascoltata nei tre giorni successivi al deposito della querela, grazie all’introduzione della nuova procedura d’urgenza denominata “codice rosso”. Le persone che subiscono maltrattamenti in famiglia beneficiano di un intervento immediato delle autorità e del pubblico ministero. Per questo motivo è di fondamentale importanza riuscire a sporgere denuncia.

Tuttavia, per la conclusione delle indagini sono necessari almeno sei mesi, pertanto è necessario riuscire a garantire una “casa protetta” per evitare che la donna si trovi a dover convivere con il maltrattante. L’avvocato difensore della vittima deve, quindi, chiedere al PM l’allontanamento immediato del soggetto maltrattante.

Stando all’Istat, sono ancora tante le donne che non denunciano le violenze subite. Crede che questo derivi da uno strascico culturale, oppure dalla paura di non ricevere la giusta protezione?

Guardi, l’aspetto culturale gioca sicuramente un ruolo rilevante: nascere e vivere in certi contesti, il livello di istruzione e il modo di costruire le relazioni, sono tutti elementi che hanno un ruolo importante. A questo, va però aggiunto il fatto che una vittima di violenza è proprio colei che sul momento ha difficolta di esprimere la violenza o la nega addirittura. A questo va senza dubbio aggiunto il fatto che in Italia non ritengo siamo sufficientemente pronti ad agire su questo tipo di situazioni.

In che senso? Ci spieghi meglio.

Nel senso che quando una donna denuncia, si tende a isolare la vittima, non pensando invece che il violento ha un problema e che il carcere o altri tipi di provvedimenti cautelari non sono la strada per rendere davvero innocuo l’aggressore. Ecco perché ho deciso di fondare la Onlus Studiodonne: per cercare di creare un percorso alternativo al carcere, che possa permettere, con un metodo scientifico come quello dei 12 passi, di far intraprendere un percorso all’uomo violento, al fine di cercare di avviare un recupero e garantire un vero e sicuro reinserimento nella società.

Sta cercando di dire che la violenza di genere va trattata come una dipendenza?

Le due cose non sono tanto diverse se ci pensa. L’uomo violento è una persona tendenzialmente insospettabile. Vive la sua vita in modo, come dire, normale. Sa gestire i rapporti con le altre persone e spesso riesce anche a ottenere posizioni di rilievo in ambito sociale e professionale. Il suo problema nasce nella relazione con l’altro sesso. Ecco quindi che è in questa sfera che bisogna cercare di lavorare per tentare di indurre un cambio di comportamento. Il carcere, personalmente, non lo vedo come un aiuto, perché non essendoci questo tipo di relazione con l’altro sesso, il maltrattante tenderà a non avere comportamenti devianti. Non è un caso vedere uno di questi individui ricevere il permesso premio in carcere, proprio per via del loro comportamento impeccabile al di fuori della relazione che scatena questi atti violenti.

Lei cosa consiglia di fare a chi legge e si dovesse trovare nella stessa situazione della donna protagonista di questa triste vicenda?

Sicuramente consiglierei di evitare la giustizia fai da te. Poiché il nostro codice penale punisce chiunque si fa arbitrariamente ragione da solo mediante violenza su cose o persone, in quanto si viene a configurare anche il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Ultima domanda: c’è qualche possibilità che alla donna di Alessandria venga condonata la pena?

Più che condono di pena, dipende dalle indagini, e nel caso in esame vedo anche la premeditazione, avendo sedato la vittima e disposto una serie di azioni che conducono all’omicidio. Scegliendo il rito abbreviato potrebbe avere uno sconto di pena pari ad un terzo.

Ultimo aggiornamento: 13 Luglio, 18:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA