Luciana Boccardi
MODI E MODA di
Luciana Boccardi

POLEMICHE SU DRESS CODE:
VOGLIO UNA DIVISA TACCO 12

Venerdì 30 Aprile 2021 di Luciana Boccardi

 

Che  la moda , da sempre, nella scena dell’umano sia la materializzazione di come vorremmo apparire, il vestito destinato a raccontare la nostra verità, o al contrario,  mascherarla, truccarla  ai fini del ritratto di noi che vogliamo dare, è discorso  annoso , ma mai affrontato con sincerità. Nelle polemiche suscitate dall’opportunità di valutare i messaggi della moda  nel contesto del vissuto quotidiano, del sociale che contrassegna la nostra vita , sono sempre emerse valutazioni  di comodo, sollecitazioni opportunistiche, politiche, ideologiche, religiose, istanze dettate dal timore di non apparire allineati con le teorie vincenti o al contrario di non essere considerati abbastanza ribelli all’omologazione. In passato le risposte, più o meno gradite, venivano affidate alle famose leggi suntuarie che all’improvviso dicevano basta agli eccessi di perle, di piume, di gioielli, di merletti , di sfarzo che con la scusa di mettere freno agli sprechi metteva il potente di turno al riparo da confronti o evidenze di  ricchezza da parte di rivali temibili. Oggi si ricorre all’  aiuto di un  dress code (si usa dirlo nel nuovo linguaggio italo-anglo-americano che favorisce l’ambiguità prestandosi a necessaria traduzione): è una sorta di codice del comportamento che in particolare riguarda il modo di vestirsi (che si vorrebbe fosse il modo di “essere”).  Ma i conti vanno fatti anche sull’onda della rivoluzione culturale che da cinquant’anni  invita alla dissacrazione verso tutto ciò che era stato prima ,  che ancora ribolle per certi aspetti dopo mezzo secolo  teatro di tante discussioni,  scontri,  accuse e difese talvolta  “politicamente corrette” , altre volte pretestuose, alimentate da  una  ribellione che ha sempre utilizzato la moda come strumento di lotta.

La Moda,  obbediente,  esegue, tramite stilisti emergenti in cerca del “nuovo”, per niente turbata se il suo messaggio osè  riguardi una esibizione di disponibilità o di quasi disponibilità al piacere affidati al gioco del “quasi nudo” , o al contrario , se di arcaica discrezione, di riservatezza estrema. Solo che in questi ultimi tempi i valori sono mutati e la moda quindi  non risponde sempre a dovere. Quelli che dovevano apparire messaggi di disponibilità vengono proposti come il loro contrario. Se ti propongo l’immagine appena adombrata delle mie zone destinate al piacere  non devi ritenerle oggetto del desiderio ma  asettica  comunicazione di routine.  Serve un’adeguata preparazione, un tempo mirato a farci apprendere il nuovo linguaggio , un modo che possa sostituire la consuetudine superata di affidare all’abito la definizione di un ruolo pubblico, l’opportunità di stabilire un comportamento adeguato alla missione da svolgere, diciamo pure una “divisa”. Non sempre comunque è facile quando la persona deve interpretare un ruolo che per le sue stesse finalità ha bisogno di essere riconosciuto a prima vista :  il camice verde che fa distinguere l’infermiere dal visitatore in un ospedale, la divisa da vigile per riconoscerlo, quella da pompiere per affrontare il fuoco, la mise da operatrice sessuale  per attirare più clienti , lo smoking per la festa, il casual per lo sport. Un’istanza , un dress code che oggi deve fare spesso i conti  con  il rifiuto delle divise, dei grembiuli (a cominciare dai bambini  piccoli a scuola).

Su moda e dress code , ovvero abito d’ordinanza, una polemica   pesante in questa fine d’aprile sta agitando la quiete di Cassina de’ Pecchi,  piccolo centro dell’hinterland milanese,  a seguito della contestazione per  una  postilla del regolamento urbano di polizia (art. 23) che oltre a ribadire per i  poliziotti il divieto di  “concordare prestazioni sessuali, o  anche solo intrattenersi con soggetti che esercitino attività di meretricio su strada” , indica imposizioni che vieterebbero  l’abbigliamento “sexy”  o comunque “un genere di vestiario che possa suscitare desiderio sessuale”.

 Rivoluzione sui social, proteste e satira contro questo dress code che “invade la privacy”, “non rispetta la persona”, “è arrogante”, “ si serve della moda per umiliare”. ..

“Se mi piace -  scrive su Facebook una giovane  di Cassina de’ Pecchi,  inveendo contro la norma - anche se scelgo di fare il poliziotto  posso portare quanto voglio minigonna e  tacchi a spillo.”.

La moda infatti non può tener conto,  perché non è suo compito , se il tacco 12  (oggi tra l’altro un tantino vintage!)  possa essere o meno un impedimento al reale svolgimento del lavoro, metti -  nel caso di un poliziotto/a  -  l’inseguimento di qualche malavitoso che potrebbe essere battuto in velocità  dal fuggitivo su sneaker piatte. E la moda...ci guarda.

                                                                                                   

Ultimo aggiornamento: 13:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA