Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 77, giorno 11
La poca America vince, la tanta Italia no

Domenica 13 Settembre 2020

Stiamo tutti bene. È questo il vero Leone d’oro di una Mostra,
vissuta inevitabilmente con un po’ d’ansia, ma la speranza è stata ripagata. Stiamo tutti bene, ma Chloé Zhao un po’ di più. Lei sta benissimo. Ha appena vinto il Leone d’oro con “Nomadland”, un traguardo prestigioso al suo terzo film. Niente male. Ha vinto una regista e per una volta mi piacerebbe lasciassimo da parte considerazioni di genere. Ha vinto una regista che se l’è meritato ed è quasi un paradosso che nell’anno in cui l’America è considerata la grande assente per gli ovvi motivi che conosciamo, vinca comunque un film americano, che troveremo magari poi alla corsa per gli Oscar (specialità veneziana) e che bissa il successo dell’anno scorso di “Joker”, dalle origini e dalle destinazioni di pubblico assai diverse. Dunque: Leone d’oro a “Nomadland”, con la consueta prova superba di Frances McDormand, che non avrebbe avuto senso premiare, donna orgogliosamente libera per le strade americane, tra spazi immensi, gente che ha scelto di non vivere in una casa, e una crisi economica devastante. Un riconoscimento inattaccabile, per uno dei film più apprezzabili del Concorso, bello senza essere sorprendente, commovente senza il bisogno del pianoforte di Ludovico Einaudi (che purtroppo c’è). Abbastanza annunciato fin dalla vigilia.
C’era molta Italia. Agguerrita alla vigilia, meno sul campo. Alla fine se ne esce con un solo premio nel Concorso, quello considerato spesso consolatorio, un riconoscimento attoriale. Pierfrancesco Favino se lo merita, più per la carriera che per il film in sé (“PADRENOSTRO”, che di maiuscolo purtroppo aveva solo il titolo), per un ruolo non così titanico, come quelli recenti di Craxi e Buscetta. Ma a volte certi premi dati ad attori italiani finivano pure in mani sbagliate, almeno stavolta non si può dire. Volendoci un po’ consolare c’è anche la sceneggiatura al film di Pietro Castellitto (“I predatori”) nella sezione Orizzonti: certo resta la delusione per una modesta raccolta, ma è anche vero che i quattro titoli in Concorso presentavano ognuno perplessità e, calcolando anche il resto d’Italia passato nelle altre sezioni, non è facile condividere l’entusiasmo che accompagnava la pattuglia nostrana alla partenza.
Degli altri premi si può dissentire sul Gran Premio a Michel Franco con il suo film (“Nuevo orden”) che agli spunti d’interesse affianca una rappresentazione assai discutibile; più sorprendente (e condivisibile) il Premio per la regia a Kiyoshi Kurosawa alla sua “Wife of a spy”, mentre Andrei Konchalowsky, regista abituato ai palmarès, si porta a casa il Premio Speciale per un film molto classico ma anche tra i più coinvolgenti, e l’indiano Chaitanya Tamhane quello per la miglior sceneggiatura, un po’ poco. Quasi scontato il riconoscimento a Vanessa Kirby, presente in due film, eletta miglior attrice soprattutto per “Pieces of a woman” di Kornél Mundruczó, dove in un piano-sequenza di mezz’ora si espone al parto più terrificante di sempre al cinema. Spiace per l'azero Baydarov, che stava in cima alle mie preferenze, ma che resta a mani vuote: forse il suo era un film troppo spiazzante in un Concorso poco spiazzante.
Si chiude la Mostra più inusuale di sempre e speriamo rimanga davvero un’occasione unica e irripetibile. Tormentata alla vigilia, avviata tra desiderio, dubbi e l’inevitabile preoccupazione arriva al traguardo con un sospiro di sollievo, grazie all’organizzazione e alla disponibilità di tutti, Biennale, accreditati e pubblico. Sono stati giorni vissuti intensamente, obbligati a protocolli, controlli, mascherine costantemente esibite (e non è stato per niente facile tenerle sul viso per giornate intere). La necessità di prenotare i posti, dopo un avvio decisamente problematico, si è rivelata una novità che meriterebbe restasse stabile, certo magari aggiustando e migliorando alcune cose, compresa l’onestà di chi prenota e poi diserta: c’è un anno di tempo e forse l’introduzione di una app sarebbe auspicabile. Il Concorso non è stato entusiasmante, anche se alibi e difficoltà non mancavano e comunque, al di là di una piccola delusione complessiva (metà dei film nella classifica degli inviati non ha raggiunto la sufficienza), resta il grande merito di aver osato fare una Mostra e di averla portata a casa serenamente. L’applauso è d’obbligo. Nessuno sa cosa succederà da qui al settembre 2021: speriamo di ritrovarci ancora insieme, Alberto Barbera compreso, ora a fine mandato: sarebbe davvero una infelice sorpresa non confermarlo.

  Ultimo aggiornamento: 08:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA