Conte teme l'ipotesi governo Di Maio: Pd insofferente, virata sui dossier economici

Martedì 30 Giugno 2020 di Marco Conti
Conte ora teme l'ipotesi governo Di Maio: Pd insofferente, virata sui dossier economici

In una sola giornata da palazzo Chigi sono arrivate novità su Alitalia, ex Ilva, semplificazioni e persino, attraverso la presidenza della Camera, rassicurazioni sulla tempistica di approvazione del decreto rilancio. Nulla sul Mes o su Autostrade, ovviamente, ma è il segnale di come il nervosismo del secondo partito di maggioranza, il Pd, si sia scaricato sul presidente del Consiglio. Giuseppe Conte prova a reagire. Organizza per oggi un vertice con i capidelegazione, ma soprattutto ha chiesto al suo partito di riferimento, il M5S, di dirgli chiaramente che cosa intenda fare su alcuni dossier che viaggiano sulle scrivanie di ministri e sottosegretari, da mesi. La situazione è tale che i ministri grillini sfidano il Covid e si ritrovano di persona con il reggente Crimi.

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IL LUSSO
Conte rischia di pagare il prezzo dello stallo che evitò di saldare nell’agosto scorso attribuendo alla Lega di Salvini molte delle responsabilità che erano altrove. Dopo quasi un anno la geografia interna al grillismo è ancor più frammentata producendo una debolezza che si scarica sul premier e che contagia anche il segretario del partito che undici mesi si sostituì alla Lega e che promise un cambio di passo promettendo di cambiare anche alcune riforme, giudicate «nefaste», della stagione sovranista. Ed invece, dopo aver votato, in quarta lettura, il taglio dei parlamentari, il Pd di Nicola Zingaretti si scopre a mani vuote. La cancellazione della prescrizione, made in Bonafede, è ancora in piedi così come i decreti sicurezza, mentre i cantieri sono fermi. Ed è forse questa la subalternità che non vuole il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Non solo, Conte non riesce a diventare leader di quella “maggioranza Ursula” che avrebbe dovuto ridefinire gli assetti di un nuovo centrosinistra e sul quale il Pd di Zingaretti ha puntato preferendo che rimanesse lui a palazzo Chigi piuttosto favorire l’ascesa di Luigi Di Maio.

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Tornare a puntare sull’attuale ministro degli Esteri resta l’ultima chance che ha il Pd per non tornare al voto e i 5S per non tornare quasi tutti a casa anzitempo. Conte è consapevole dell’insidia ed è per questo che si guarda bene dallo scontentare l’ala Di Battista che rappresenta ora la più importante garanzia per una sua permanenza a palazzo Chigi. In questo modo il premier si garantisce di durare, ma ne risente l’azione di governo. 
Ed ora arriva la sfida del Mes, uno strumento che l’Europa mette a disposizione - dopo averne cambiati i connotati - insieme ad altri. Non rappresenta da solo il piano Marshall che nel ‘48 la Cecoslovacchia rifiutò, ma ne riprende quello spirito di appartenenza, allora all’Occidente e oggi all’Europa, che non a caso molti sovranisti europei combattono giudicandolo una trappola o uno spreco. Zingaretti ne reclama l’utilizzo e lo ha scritto ieri nella lettera pubblicata dal Corriere da aver sorpreso anche molti colleghi di partito che si erano acconciati per rinviare la sfida a settembre. L’idea di Conte era di non far cenno al Mes nella risoluzione che dovrà essere votata in Parlamento il 15 luglio. D’altra parte nella riunione a Bruxelles si discute del bilancio comunitario e del Recovery fund. Due temi sui quali non si è trovato ancora l’accordo, mentre il Mes è strumento già operativo. Eppure sarà difficile evitare la conta, visto che +Europa e FI presenteranno proprie mozioni.


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Il tergiversare di Conte sul Mes è per il Pd incomprensibile anche perché a guidare il partito è un presidente di regione, Zingaretti, che al pari dei suoi colleghi De Luca, Bonaccini e Rossi (ma anche Zaia e Fontana), ha assoluta urgenza di risorse per ammodernare il sistema sanitario. Per Zingaretti rinunciare a quei fondi - o pensare di recuperarli facendo altro debito che costerebbe 5 miliardi in più ai contribuenti come consiglia l’astuto Vito Crimi - è impensabile anche perchè rappresenterebbe colpo come segretario di partito e presidente di regione. Lo sfilacciamento dei rapporti nella maggioranza, le continue frustate di Zingaretti che dopo dieci mesi ha assunto di fatto il ruolo di capodelegazione sostituendosi a Franceschini, ma soprattutto l’incapacità di Conte di trainare i 5S, rappresentano un problema che non può durare a lungo. Soprattutto se nel Pd c’è chi ritiene fallito il tentativo di trasformare i grillini in una componente del nuovo Ulivo di cui Conte sarebbe dovuto diventare il federatore. Per certificare il fallimento del progetto-dem, si attende quindi settembre con le elezioni regionali che riproporranno lo spauracchio salviniano e lo scontro sul Mes che Conte non sarà ancora riuscito a risolvere.

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Ultimo aggiornamento: 11:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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