Anche per i partiti nulla sarà come prima: l'effetto-virus modificherà leadership, alleanze ed equilibri interni

Martedì 26 Maggio 2020
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Egregio direttore,
nel Pd ci sono quelli che pensano che il Partito non debba mai presentarsi alle elezioni senza il M5S (penso al ministro Francesco Boccia) e quelli che vogliono smettere di pensare contro di chi e cominciare a pensare per fare cosa (Stefano Bonaccini). Sono due posizioni agli antipodi che hanno ridotto un partito, erede della più avanzata tradizione cattolica, democratica e popolare, ad una mera somma di consensi finalizzati ad autoalimentarsi più che a produrre proposte amministrative atte a governare efficacemente un Paese. È molto strano che tutti quelli che devono decidere sul futuro della Sinistra italiana, non si siano accorti, esclusi pochissimi eresiarchi, dei cambiamenti che l'elettorato dimostra di richiedere ogni volta che si dà ad esso la possibilità di esprimersi.

Leonardo Agosti
Cadoneghe (Pd)


Caro lettore,
se c'erano dei dubbi sull'estrema difficoltà nel far convivere l'esperienza e la tradizione e politica del Pd con quella del M5s, credo che questa durissima crisi li abbia per intero confermati. La vicenda del Mes o quella del cosiddetto decreto aprile diventato poi decreto maggio proprio a causa dei dissidi interni alla maggioranza, è indicativa di quanto su alcuni punti essenziali possano essere distanti le posizioni di queste due forze politiche. Ma non solo. C'è un aspetto forse più importante da considerare. L'emergenza sanitaria ed economica ha finito per modificare in modo significativo i rapporti di forza all'interno dell'alleanza di governo. Non solo fra i partiti, ma anche fra i singoli esponenti politici. Il patrimonio di consensi di alcune figure in questi pochi mesi è cresciuto notevolmente, a discapito di quello di altri. Il caso più evidente è quello del premier Conte che, attualmente, secondo i sondaggi, è l'esponente politico italiano accreditato della maggiore credibilità. Difficile, tanto per M5s che per il Pd, prescindere da lui. In crescita sono anche le quotazioni del presidente Pd dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini che ha saputo sfruttare il suo ruolo di portavoce delle Regioni nel dialogo, a volte anche parecchio conflittuale, con il governo. Al contrario invece del segretario politico del Pd Zingaretti, che pur essendo il leader del partito di riferimento della maggioranza e il capo di una delle regioni più importanti, il Lazio, non è riuscito ad emergere, a ritagliarsi un proprio ruolo e a guadagnare particolari consensi. In realtà quella a cui stiamo assistendo è un stagione di cambiamenti che non ha ancora dispiegato gran parte dei suoi effetti. E questo vale per tutti i partiti, non solo per il Pd. Il virus è destinato ad incidere sugli equilibri precedenti, sulle alleanze interne e sulle stesse leadership. Se le guerra sono sconvolgenti, anche i dopoguerra lo sono, seppur in modo diverso. Finora l'emergenza ha funzionato da efficace collante, evitando, nei partiti come nella coalizione di governo, rotture e divisioni. Ma non sarà sempre così.
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